Il tecnopopulismo di Sala è antipolitica

Il tecnopopulismo di Sala è antipolitica

La reazione di Sala alle parole di Di Maio sulla chiusura nei giorni di festa dei negozi sembra aver risvegliato una sorta di orgoglio di una città operosa contro un governo che, alla prima legge di stabilità, ripropone vecchie ricette assistenzialiste. Il sindaco di Milano, nel giorno della manifestazione pro-Tav a Torino, pare abbia voluto mettersi alla testa di un'opposizione nazionale al governo giallo-verde. Peccato che solo un mese prima la sua maggioranza in Comune ha proposto e votato un calendario cittadino di festività per cui obbligare le attività commerciali a fermarsi. Non si tratta di dare criteri attraverso cui lasciare libere le parti sociali di autorganizzarsi nel rispetto di princípi fondamentali di civiltà e diritti dei lavoratori. Si tratta di una diversa sfumatura di dirigismo centralista: gli obblighi di chiusura non li deve decidere Palazzo Chigi, ma Palazzo Marino. Sembra difficile immaginare in questi termini un «rito ambrosiano» in alternativa a quello «romano» del governo Conte. Del resto, come potrebbe esserlo chi risponde al giacobinismo dei grillini con bandi di gara scritti trincerandosi dietro pareri preventivi dell'Anac, come avvenuto per esempio per gli spazi della Galleria? Che alternativa può offrire al giustizialismo pentastellato chi chiama un ex membro del pool di Mani pulite a presiedere un Comitato di legalità e trasparenza che, per non tradire le aspettative della maggioranza di centrosinistra che pure lo ha indicato, denuncia il bluff del Piano periferie su cui il primo cittadino vuole essere misurato a fine mandato?

A fronte poi di alcuni consiglieri di maggioranza che si sono dissociati dalla sua volontà di trascrivere nel registro dell'anagrafe un bambino come figlio di una coppia di due uomini, il sindaco - per ottemperare tra l'altro a una sentenza di un tribunale - ha arrogantemente rovesciato l'ordine naturale e legale delle cose dichiarando che «deve essere la giunta a dare un indirizzo politico, non si è mai visto che il Consiglio comunale discuta di questioni prima». Affermazione che lo rende indistinguibile da un Casaleggio qualunque che pontifica sull'inutilità delle assemblee elettive. Il sindaco risulta essere così speculare al populismo espresso dall'antipolitica dei cosiddetti anti-establishment.

Raggiunta la metà mandato di Beppe Sala si può definire la sua esperienza amministrativa con il termine di tecnopopulismo, nell'accezione spiegata dall'intelligente Lorenzo Castellani. A ben vedere, infatti, il tecnopopulismo del sindaco si mostra, per esempio, nella riduzione a mera questione urbanistica del problema moschee o in un mix di interventi dettati dall'accettazione pedissequa di procedure definite dall'autorità giudiziaria e campagne social basate sull'emotività, come può essere quella #lovewins a favore dei cosiddetti diritti civili di coppie omosessuali, piuttosto che il #restiamoumani per un'accoglienza indiscriminata.

Il tutto a scapito della politica che è proprio l'ambito della ragione, della valutazione critica - nel dibattito tra le parti che autolimitano le pretese totalizzanti degli uni e degli altri - di ciò che è umanamente possibile e di ciò che realizza una buona convivenza tra le persone.

*Capogruppo in Comune per Milano popolare

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