"Il telelavoro? L'uomo tende alle relazioni. Ma vedremo"

Il sociologo Nuvolati: "Troppo presto per valutare. Nel pubblico c'è da sempre chi lavora e chi non lo fa"

"Il telelavoro? L'uomo tende alle relazioni. Ma vedremo"

Gianpaolo Nuvolati, direttore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale e prorettore per i rapporti con il territorio dell'Università degli studi Milano Bicocca, cosa ne pensa delle parole del sindaco che venerdì, intervenendo all'evento organizzato dall'associazione Cronisti in Comune ha fatto un appello per uno stop allo smart working? «Ora è il momento di tornare a lavorare, perché l'effetto grotta, in cui stiamo a casa e riceviamo lo stipendio, ha indubbiamente i suoi pericoli» ha spiegato il sindaco Giuseppe Sala. Che poi ha sottolineato come nessuno sa come evolverà la situazione sanitaria, per cui «se questo è un momento propizio per tornare a lavorare, è il caso di farlo, poi se dovremo tornare in casa, lo faremo».

«È troppo presto per valutare gli effetti dello smart working - risponde Nuvolati - ci vorrà molto più tempo, quello che penso è che l'uomo ha una tendenza naturale alle relazioni, al bisogno della fisicità, della presenza c'è quindi una forza superiore insita nell'essere umano che ci porta a stare tutti insieme». Chi ha detto che il mondo cambierà e non sarà più lo stesso, si chiede il sociologo: «Io credo invece che le cose piano piano torneranno alla normalità. Detto ciò viviamo in una società secolarizzata, in cui si fa pressing sugli scienziati e sugli esperti perché ci diano risposte certe su quanto accadrà tra qualche mese, ma come abbiamo visto è impossibile. In questi casi si va a tentativi e bisogna accettare l'errore, è normale». Cosa succederà adesso? «Stiamo andando avanti per inerzia, il ragionamento sul telelavoro è molto complesso e l'Italia vanta una forte tradizione di studi sui tempi della città e tutti gli uffici pubblici, con l'autonomia degli enti locali, istituirono intorno agli anni 90 degli uffici dedicati (legge Turco). Ci sono molti aspetti da tenere in considerazione per analizzare pro e contro, possiamo dire che funziona bene per realtà che già lavoravano al pc, meno sui settori che si basano sulle relazioni. Per chi lavora con il computer è solo cambiato il luogo di lavoro, ma non il modo di lavorare: in sostanza - conclude Nuvolati - non basta avere un pc per dire che si fa smart working».

Ci sono poi disparità di partenza: si crea un gap tra chi ha un pc o meno, una buona connessione o no. Al giuslavorista Pietro Ichino che ha parlato di «dipendenti pubblici in vacanza», Nuvolati risponde: «Da sempre nella pubblico c'è chi lavora, anche tanto e chi no, se il tema è quello dei controlli allora si possono fare sui pc dei dipendenti, ma non credo che sia questa la situazione. Intervengono un discorso di fiducia nelle istituzioni, il sentirsi parte di un qualcosa di più grande, cambiano anche le opportunità con il lavoro in presenza o da casa». A questo proposito i sindacati dei 15mila dipendenti comunali, non hanno apprezzato le parole del sindaco e gli hanno indirizzato una lettera durissima: «Non abbiamo apprezzato le parole del sindaco Sala sull'effetto grotta. Se l'idea è quella che, dopo un lungo periodo in cui siamo rimasti chiusi in casa, bisogna tornare ad una vita più sociale anche nel lavoro, comunichiamo che è quello che si sta facendo, progressivamente, anche al Comune di Milano, garantendo un rientro in presenza attraverso le necessarie misure di sicurezza. Molti virologi - scrivono compatti Cgil, Cisl, Uil, Csa e Rsu - hanno continuato a dire, anche in questi giorni, che il virus non è debellato ed il rischio di una seconda ondata va evitato.

Se l'idea è che chi opera in lavoro agile lavora meno, consigliamo al sindaco di confrontarsi con i propri dirigenti che lo informeranno che non solo tutti i servizi sono stati garantiti ma la produttività, in molti casi, è persino aumentata. Lo smart working è una nuova modalità di lavoro che va organizzata».

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