Usura, estorsioni e corruzione: tutti gli affari della ’ndrangheta

Usura, estorsioni e corruzione: tutti gli affari della ’ndrangheta

Quando hanno visto arrivare i finanzieri, si sono mostrati stupiti. «Ma come, questa è la nostra attività». Peccato che quell’attività, secondo la Procura, avesse messo in fila una lunga serie di reati: riciclaggio, impiego di denaro di provenienza illecita, usura, estorsione, truffa, corruzione, sostituzione di persona, trasferimento fraudolento di valori, associazione a delinquere, furto aggravato, ricettazione, evasione. Finiscono così in carcere 22 persone, un’altra è andata ai domiciliari, e sono stati sequestrati beni per 5 milioni di euro al termine di un’indagine coordinata dalla distrettuale antimafia e condotta dal Gico, il gruppo di investigazione sulla criminalità organizzata delle Fiamme gialle. Sullo sfondo, ancora una volta, la ’ndrangheta, a cui gli arrestati erano affiliati.
E proprio facendo leva sulla «fama criminale» delle cosche, il gruppo aveva messo in piedi un’attività illegale a tutto tondo. Da una sistematica e costante attività di estorsione e usura, al riciclaggio di enormi quantità di denaro contante proveniente per lo più dal traffico di sostanze stupefacenti e dal commercio di armi. Parallelamente, l’organizzazione si sarebbe dedicata alla commissione di furti notturni ai danni di camion e capannoni industriali, per poi rivendere i beni rubati nei mercatini domenicali della periferia nordo-ovest di Milano.
L’inchiesta della Gdf, partita nel 2007, si è sviluppata lungo due i filoni d’indagine molto diversi tra loro. Il primo è quello che ha fatto luce sulle attività illecite dei cugini Vincenzo e Giuseppe Facchineri, dediti all’usura e al riciclaggio attraverso due mediatori che operavano a Milano e un broker nautico che operava a Bologna e nella Repubblica di San Marino. Il secondo, invece, è quello che ruota intorno a una banda criminale che aveva la propria base a Baggio, e da lì partiva per mettere a segno furti nei tir e nei capani.
Gli imprenditori sono stati due volte vittime degli indagati, perché tre di loro, operanti nel settore nautico, sono stati raggirati da due mediatori dei cugini Facchineri, che si sono spacciati per finanzieri facendosi consegnare centinaia di migliaia di euro per evitare verifiche fiscali. Per entrare meglio nella parte, avevano corrotto un carabiniere così da ottenere informazioni dettagliate sulle loro vittime e per accreditarsi verso di loro: informazioni e dati riservati estratti dalla banca dati del ministero del Lavoro. La vittima più nota è Giulio Lolli, attualmente latitante in Libia, rappresentante legale della società Rimini Yatcht spa oggi fallita, che ha pagato 230mila euro.
«Le persone arrestate - spiega il colonnello Vincenzo Tomeri, caomandante del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza - sono tutte pregiudicate per evasione e violazione delle misure di sorveglianza speciale. Non dichiaravano redditi o solo redditi minimi. Sono inserite nel tessuto sociale e non pensano che esistano vie legali per vivere. Questo ci preoccupa molto». Anche perché l’indagine - che come sottolinea il comandanate del Gico, il colonnello Marco Menegazzo - «si è svolta sul territorio, tramite appostamenti e pedinamenti». Ma senza l’aiuto di pèarticolari «soffiate» da parte delle vittime delle estorsioni.

«Nessun imprenditore - insiste Tomei -, nessuno della società civile ha fatto denuncia». Potere della paura. È la ’ndragheta che cerca di conquistare fatte di territorio sempre più vaste. Unica - magra - consolazione, l’assenza di referenti politici. Almeno in questo caso.

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