«Non so fare due cose contemporaneamente: o giro suonando, o compongo. Dopo un anno sabbatico di assoluto riposo, ora sono in viaggio: questa tournée mi prenderà tempo. Sarò prima in Italia, poi in tutta Europa, fino alla fine di quest'anno. Quando mi fermerò, penserò. Chissà, magari non avrò più nulla da dire». Difficile credere a queste parole di Angelo Branduardi, atteso stasera in data unica al Teatro Nazionale (ore 21, ingresso 46-40 euro, info 02.00.64.08.88) per una tappa di «Camminando Camminando 2017»: il menestrello che da più di quattro decenni crea ed esegue musica a cavallo tra un sogno antico e rispettoso delle più lontane radici musicali italiane e occidentali e un presente fatto di collaborazioni e progetti artistici sempre stimolanti non sembra proprio uno capace di dire, un giorno, basta alla musica. Che poi questo «non saper fare due cose contemporaneamente» venga da un polistrumentista veterano, bé, fa sicuramente sorridere. L'understatement è, evidentemente, il tic dei grandi.
Maestro Branduardi, cosa porterà sul palco del Teatro Nazionale questa sera?
«Molte cose. Partirò con un repertorio che va dall'anno Mille al Cinquecento, poi eseguirò alcune mie ballate, molte minori o non eseguite per molto tempo, vere e proprie rarità. Poi, naturalmente ci sarà spazio per i brani che hanno scandito la mia carriera, anche i più celebri».
Nel repertorio ci saranno anche le Child Ballads, patrimonio del folk britannico, raccolto nell'Ottocento dal musicologo Francis J. Child: una scommessa per il pubblico?
«Il pubblico in questi anni mi ha sempre seguito, si fida dei miei recuperi, chiamiamoli così. Ci sono arie del periodo elisabettiano. Ma comunque tutto il concerto, da questi brani fino a quelli del mio ultimo album Il Rovo e la Rosa Ballate d'amore e di morte, sono all'insegna della sottrazione».
In che senso?
«Sul palco siamo in due, io e il mio fido collaboratore e polistrumentista Maurizio Fabrizio: insieme creiamo una solida polifonia, ma questo non ci impedisce, anzi ci impone, una selezione accurata dei suoni. Il nostro intento è liberare la musica dalle zavorre, andare al cuore, all'essenza delle cose. Insomma, meno c'è e più c'è, in una dimensione totalmente acustica».
Lei in passato ha collaborato con grandi della musica internazionale come Crosby, Stills & Nash, e artisti di musica leggera italiani come Claudio Baglioni e Alexia: al contempo per fare la sua musica resta fedele a un team di musicisti consolidato. La musica richiede «monogamia» o istinto di commistione?
«Maurizio Fabrizio è uno dei migliori talenti musicali che ho conosciuto nella mia vita. Con lui ho sviluppato negli anni un'empatia notevole. Tra noi sappiamo un attimo prima che strada prenderemo improvvisando. Cosicché, i nostri concerti non sono mai tutti uguali. Per indole, io sono fedele ai miei musicisti. Poi ci sono le fugaci collaborazioni, per lo più in studio: un'altra cosa».
Spogliare i brani di sovrastrutture strumentali porta al segreto intimo di una composizione? Ci sono brani che, dopo averli composti, ha sentito di aver creato qualcosa tale da restare?
«Sicuramente Alla Fiera dell'Est è uno di quei brani: mi ha consegnato all'immortalità tra i bambini. Ci sono bimbi che la cantano a scuola e non sanno minimamente chi sia Angelo Branduardi. Quella canzone ormai non è più solo mia, non mi appartiene più e questo non è un male. É una canzone di tutti».
Come mostra anche il suo sito ufficiale, al Museo del Louvre a Parigi è esposto un dipinto di Tiziano Vecellio dove appare, in un gruppo di musici, un volto che ha un'incredibile somiglianza con lei.
La cosa ha dell'incredibile e, forse, del profetico: lei crede ai segni?«Sì, ci credo. Credo anche agli sciamani. Quel dipinto me lo segnalò per la prima volta il fotografo di tante copertine musicali Guido Harari. Sono esattamente io».
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