«Fotografo ciò che non esiste costruendo mondi immaginari». Riassume così il suo lavoro Paolo Ventura, artista visionario che con la «potenza narrativa delle sue opere» ha colpito la sensibilità di Giorgio Armani. Tanto che lo stilista ha deciso di riaprire l'Armani Silos e di dedicargli tutto il primo piano con la mostra «Racconti Immaginari» (fino al 29 luglio). Per l'occasione, Re Giorgio ha ripensato anche la collezione permanente esposta ai piani superiori, e ha curato personalmente il nuovo allestimento, scegliendo tre percorsi narrativi che ripercorrono il suo lavoro creativo dal 1980 a oggi. Così, mentre al primo piano si racconta la quintessenza dello stile Armani, al secondo piano si evocano le culture dei paesi che hanno ispirato il lavoro del grande stilista, e al terzo rivive la magia di Hollywood, il piano terra è completamente dedicato alla mostra di Ventura che comprende un centinaio opere tra fotografie, scenografie e oggetti scelti dall'artista.
Nato a Milano nel '68, dopo aver vissuto tanti anni a New York, «nel 2011, con la mia famiglia ci siamo trasferiti in Toscana, in una casa persa nelle colline», racconta Ventura, che per anni ha ispirato scenografie e costumi delle opere del Lyric Opera di Chicago e del Teatro Regio di Torino. «Come studio ho ristrutturato un granaio. Durante i lavori un pezzo di tetto è crollato, rivelando una bellissima luce in un angolo buio. Avevo così un lucernario esposto a nord e, volendo approfittare di questa luce, ho costruito un piccolo palcoscenico con un fondale dipinto, e ho iniziato a fabbricare delle storie. Prima da solo, poi coinvolgendo mio figlio Primo, mia moglie e mio fratello. Ho fotografato storie di guerra, magia, abbandono, e piano piano mi sono trovato a rifare quello che facevo da ragazzo in quel luogo, nascondendomi nei miei mondi immaginari e inventando storie».
Sono nati così i lavori della serie Short Stories, e tante altre opere di questo artista che dà vita a creazioni in forma di fiabe.
Come i lavori della serie The Automaton, «la storia di un uomo che costruisce un automa per tenersi compagnia: me la raccontava mio padre quando ero ragazzino», prosegue il fotografo che ha riambientato il racconto nel Ghetto di Venezia del 1943. Fra i tanti racconti fotografici, è proiettato un documentario che ripercorre la sua vita, e sono esposte anche alcune installazioni di carta che creano storie tridimensionali.
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