Gian Micalessin
da Beirut
La tempesta umana cala lenta. Invade i cavalcavia, sciama tra i palazzi, trascina larcobaleno di bandiere ed il coro di slogan. Laggiù tra le tende di Riad el Solh e di Place des Martyrs lattendono come la pioggia di primavera. Saranno un milione forse più. Un quarto del paese pronto a divorarsi il cuore di Beirut. Un uragano pronto a travolgere le mura del Gran Serraglio con il premier Fouad Siniora e i suoi sedici ministri. Ma la grande paura dura fino a sera, quando la marea umana si ritira e si lascia dietro la notizia del sì del segretario generale di Hezbollah Hasan Nasrallah ad un piano di compromesso della Lega Araba. Laccordo garantisce il via libera al processo internazionale sullassassinio Hariri in cambio dellallargamento del governo chiesto dalla compagine sciita. Il piano condiziona lallargamento allinclusione di almeno due ministri indipendenti togliendo così ad Hezbollah ed Amal la certezza del diritto di veto e la possibilità di far cadere il governo. I sette punti dellintesa verranno illustrati oggi al premier Fouad Siniora dallinviato della Lega Ismail Mustafa.
In attesa di quel sì di Nasrallah Beirut si consuma in una domenica da ultima spiaggia. Una domenica egemonizzata dai militanti di Hezbollah arrivati dalle roccaforti nella valle della Bekaa e del Sud del Paese. La valanga arancione di Aoun non è da meno. Una macchia straripante e festosa precipitata dai picchi a Nord della capitale. Sulle labbra mille sorrisi, nei cuori una voglia di rivalsa peggiore di quella di Hezbollah. Lui il generale dalla doppia vita, il nuovo Badoglio alleato con chi lo bombardò e lo cacciò in esilio non li delude. Non scende dalla fortezza sulla montagna di Rabiyeh, ma la sua immagine proiettata sul maxischermo regala appelli ancor più temerari di quelli del Partito di Dio.
«Dicono di essere la maggioranza, ma lhanno rubata... ormai hanno pochi giorni per decidere... per ora ci accontentiamo delle maniere non violente, poi anche altri mezzi diventeranno legittimi» annuncia Aoun mentre la marea gialla e arancione lo acclama in un unico coro. Subito dopo scatta lultimatum. «La prossima volta saremo liberi di muoverci, la prossima volta occuperemo la sede del governo e quella del Parlamento. Come in Serbia come in Ucraina». Neppure Naim Qassem, il numero due di Hezbollah comparso dietro uno schermo di vetri blindati va giù così duro. Non con il governo almeno. Lui preferisce le frasi ad effetto, gli attacchi violenti, ma rituali a bersagli consueti. «Bush predica la liberta despressione per voi libanesi? LOccidente si preoccupa del vostro diritto di parola? Allora fate sentire la vostra voce, urlate Morte allAmerica, morte ad Israele». Il boato fa tremare la piazza, squassa la quiete del Gran serraglio e dei suoi governanti prigionieri. Molti, però, sinterrogano sulle indecisioni di Hezbollah e sulle frenesie di Aoun. Dai toni sopra le righe del generale traspaiono i timori di una partita alle ultime battute. Di una sfida prossima al compromesso per Hezbollah, allo scacco matto per il generale ed i suoi fedelissimi. La tempesta umana chiamata, nelle previsioni, a paralizzare il paese, a bloccare porti, strade e aerei non si muove dalla piazza. Rifluisce lenta a fine giornata. La pressione internazionale, la rabbia saudita di fronte alle mosse iraniane e i minacciosi avvertimenti americani potrebbero aver messo la mordacchia a Teheran e a Damasco, aver frenato la corsa al potere del Partito di Dio. I pubblici livori del suo segretario generale Hasan Nasralla, le accuse di tradimento al governo di Fouad Siniora di giovedì scorso precedevano forse un già previsto cedimento.
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