Un milione di turisti cinesi in Italia Ecco l’invasione che piace a tutti

nostro inviato

a Cernobbio (Como)

Un milione. Un milione di cinesi che se ne vanno in giro per l’Italia. Da Nord a Sud. Calma, però! Non è roba da sindrome, è pacifica invasione. Di quelle con la macchina fotografica al collo e un bignamino di frasi pronte a portata di mano. Cose del tipo «Dove essele fontana di Tlevi?», oppure «Glazie, molto buono lisotto».
Comunque la metti, che sia stato cioè per apprezzare l’arte o piuttosto per gustare il nostro cibo, la notizia è che a fine anno saranno un milione i cittadini cinesi ad aver varcato i confini italiani in veste di turisti. «E più che il numero in sè, la cosa più importante è che questo trend si presenta in crescita», ha commentato ieri a Cernobbio il ministro Michela Vittoria Brambilla trattenendo a malapena, dietro a un sorriso soddisfatto, l’implicito auspicio di un prevedibile ad majora. Così, già che c’era e che ci aveva peraltro preso gusto, ha ricordato alla platea della quinta Conferenza del settore, conclusasi ieri a Villa Erba di Cernobbio (Co), anche qualche cifra percentuale. Come quel 5,3% in più di visitatori internazionali che l’Italia ha registrato nei primi sei mesi dell’anno rispetto al più modesto 2% della media europea o all’indubbiamente tristanzuolo meno 0,4% portato a casa dalla Spagna.
Una scelta, quella di far parlare i numeri, presa con tutta probabilità in ben poco velata polemica con il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani. Governatore pieddino dell’Emilia Romagna il quale poco prima aveva qualificato i numeri come «ignoranti». Sarà anche vero, ha commentato la ministra, «ma sono anche concreti e insindacabili». Al punto di chiederne esplicitamente altri ancora, proprio allo stesso Errani, per via del ruolo che egli riveste. «Sono pronta confrontarmi sulle idee e sulle risorse» in sede di Comitato permanente sul turismo, ha concesso il ministro, ma a patto di saperne prima un po’ di più. Ovvero: «Io non so ancora quanto spendano le singole Regioni per il turismo. In merito non esiste un documento chiaro e mi tocca cercare qualche tabella sui giornali. Allora io dico: facciamo una operazione trasparenza e tiriamo fuori i numeri. Spiegando per esempio perché la Regione X spenda 8 euro per ogni turista e quella Y ne spende invece 115. Questa confusione non va bene», ha incalzato Michela la rossa da Calolziocorte. Non va bene «la parcellizzazione delle spese» e quindi nemmeno la conseguente impossibilità di fare delle «economie di scala».
Ora che il peggio della crisi sembra essere ormai alle spalle, ha proseguito il ministro, è arrivato invece il momento di iniziare a pensare positivo, sul lungo periodo. «Penso a un Piano strategico che possa avere valenza per i prossimi tre anni». Il ministro ha sottolineato poi la necessità di un progetto promozionale più ampio, in grado di coinvolgere tutti i Paesi dell’Unione europea. Questo, ha spiegato, tenendo conto che il Vecchio continente, nel suo insieme, è un mercato «che attira il 50% dei flussi mondiali del turismo».
Quanto all’Italia, sarebbe bene però bene «uscire da una logica localistica, o che vede addirittura il turismo come folklore, come è accaduto in Italia per troppi anni», ha proseguito la Brambilla. Questo soprattutto tenendo conto dei punti di forza sui quali è possibile contare. Che non sono soltanto quelli ormai scontati, come per esempio la bellezza, la qualità della vita, il cibo o ancora l’inarrivabile patrimonio storico e artistico. A nostro favore, ha ricordato il ministro Brambilla, giocano «l’ombrello di un marchio, appunto il marchio Italia, che così forte non ce l’ha nessuno», unito al fatto che quella del turismo è l’unica industria nazionale che senz’altro «nessuno potrà mai delocalizzare».
Ciò che serve, però, è un cambiamento culturale. «Che è cominciato e che adesso va cavalcato» per togliere definitivamente il turismo da quella condizione nella quale era stato lasciato per troppo tempo. Quella di «figlio di un Dio minore».

A cominciare dalle idee che gli altri hanno di noi. Come la Apple che aveva lasciato che qualcuno creasse un’icona «Italia pizza e mafia» sugli iPad e sugli iPhone di tutto il mondo. Ecco, l’Italia ha vinto la battaglia: l’icona è stata rimossa.

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