Il ministro che censura senza aver visto il film

da Roma

Non è un gioco di parole: c’è qualcosa di paradossale, se non grottesco, in un ministro della cultura «di sinistra» che prova a censurare una commissione di censura nominata dal governo «di centrodestra». C’è qualcosa di strano in un ex «libertario» radicale che suggerisce i braghettoni, quando la commissione «liberista» ha deciso di toglierli. E c’è ovviamente qualcosa di altrettanto cuorioso in un ministro della Cultura che per frenare il film che gli pare politicamente scorretto, o eccessivamente «violento», si mette a forzare le leggi con il piede di porco delle esternazioni a mezzo stampa, visto che la legge non gli concede facoltà di imporre divieti (quelli che il comitato a questo compito era preposto non ha voluto). Eppure il titolo Ansa riassumeva benissimo l’intento: «Rutelli, stop ai minori non accompagnati».
Per certi versi è un piccolo record: persino la storica «censura» di Giulio Andreotti a Ladri di biciclette («Troppi stracci») fu politica, e non tecnica, anatema democristiano, e non prescrizione illiberale. La censura di regime contro cui il giovane Rutelli protestava era la censura dei «tecnici» influenzati dalla politica, il Rutelli ministro oggi vorrebbe che i tecnici seguissero i precetti della politica (e sai che progresso!).
Eppure ieri Rutelli ha fatto di più, con un’altro meraviglioso dettaglio illuminante che abbiamo captato quasi per sbaglio nella sede romana della Eagle, la casa distributrice del film (che ieri pareva un quartiere generale sotto assedio, con i dirigenti increduli davanti alle agenzie con le dichiarazioni ministeriali). Mentre il Rutelli-ministro invocava censura e vigilanza, giustamente il Rutelli-uomo si incuriosiva: e quindi chiedeva alla casa produttrice una copia in visione per sè (lo vedrà con i suoi bambini?). Perché la cosa straordinaria di questo ministro, e che dopo aver cercato di vietare senza poter vietare, ha anche giudicato senza ancora conoscere. Ed è in buona compagnia, insieme ad esponenti equamente ripartiti trai poli, fra cui spicca la senatrice Anna Serafini in Fassino («Occorre ritornare su quella decisione che lede profondamente qualsiasi concezione di tutela dei minori dalla violenza e fa torto grave al nostro paese»). Anche lei non ha visto Gibson: mentre la senatrice Paola Binetti «teodem» della Margherita («Mi piacque molto The passion. Vado al cinema nel week end prima di parlare») cerca la prudenza preventiva, la laica consorte di sinistra, invoca la guerra preventiva. Il motivo di tante sospette «conversioni», le vere radici di questa «sinistra braghettona»? L’idea che lo Stato vede e provvede per tutti, e quella che vellicando i cattolici su temi per loro sono fondamentali si conquisti il loro consenso. Invece chi ha visto il film capisce il motivo per cui il comitato non lo ha vietato: i cuori sventrati e le teste rotolanti, non sono mai gratuiti, e sono molto meno choccanti di un videogioco, o di una impiccagione «rubata» via internet.

Rutelli è convinto che con le prese di posizione su procreazione assistita, Caso Welby, e Maya gibsoniani possano accreditare la sua immagine di «ministro moderato», rassicurante perché si fa carico delle paure. Se vedrà Apocalypto, invece, scoprirà che l’ultra conservatore Gibson lo scavalca con la morale del suo film: «L’unica salvezza è non aver paura».

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