Il mistero dei «derivati» spariti nel nulla

Ci sono soltanto ruderi, adesso, dove sorgeva un antico e glorioso monastero, costruito nel 1124, in pieno centro, l’attuale via Santi Giacomo e Filippo. Ma nel 2011, al termine di imponenti lavori di ristrutturazione, nel medesimo spazio occupato da macerie e cantieri saranno disponibili 58 appartamenti, 7 uffici, 32 cantine, 125 box auto, e un prato verde dominato da due giganteschi alberi di canfora che sarà aperto al pubblico. È quanto promette il progetto della società «San Bartolomeo», partecipata al 55 per cento (tramite «Tono 2») da «Spim», che gestisce il patrimonio immobiliare del Comune, e al 45 per cento dai privati di «S.Bart», gruppo Torre Elah. Giustificato, quindi, il clima di festa con cui è stata salutata ieri mattina la cerimonia di inaugurazione ufficiale dei lavori: in prima fila, il sindaco Marta Vincenzi, l’amministratore delegato della San Bartolomeo Luciano Buson, il presidente del consiglio comunale Giorgio Guerello, il neo assessore regionale all’Urbanistica Marilyn Fusco e l’ex assessore Tullio Mazzolino, ora presidente del collegio sindacale di San Bartolomeo, che hanno sottolineato l’importanza dell’intervento - costo complessivo di 18 milioni e 700mila euro - e l’opera di valorizzazione sia di quello che resta, e non è poco, del monastero delle suore domenicane, da sessant’anni in completo abbandono, sia del patrimonio in capo all’amministrazione comunale. Tanto per dire: gli appartamenti, variabili dai 50 ai 150 metri quadrati, verranno messi in vendita in cantiere, senza intermediari, al prezzo orientativo di 4-5mila euro a metro quadrato. Analogamente ci si comporterà per uffici e posti auto, e il ricavato andrà a rimpinguare le casse comunali e l’investimento dei soci privati. Spiega Sara Armella, presidente di Spim e di San Bartolomeo e vera e propria protagonista dell’evento di ieri: «Contiamo di ottenere dall’operazione qualcosa come 10 milioni di utile, da ripartire fra pubblico e privato». Significa una previsione di ricavi per il Comune di oltre 5 milioni di euro.
Un affare, senza dubbio. Che però viene quasi in parte guastato dalle notizie provenienti, in contemporanea, da Palazzo Tursi dove si è riunita la commissione Urbanistica. Tema del giorno: il «buco» di 10 milioni e mezzo di euro come conseguenza del contratto (capestro?) di derivati stipulato a suo tempo dalla Spim-presidenza Alfieri, e rimasto sulle spalle della Spim-presidenza Armella. La quale, con la decisione che la contraddistingue al di là dell’aplomb di stile anglosassone, ha annunciato ai membri della commissione di aver presentato un esposto denuncia, per appurare eventuali responsabilità nella stesura del contratto e nelle procedure che hanno portato a «una partita così negativa a carico di Spim». Le dichiarazioni hanno agitato le file dell’opposizione dove Beppe Costa, Giuseppe Cecconi e Stefano Balleari (Pdl) hanno fatto un salto sulla sedia e annunciato la richiesta di «ulteriori indagini e approfondimenti per accertare l’eventuale ammanco, e i danni subiti, in fin dei conti, dai cittadini genovesi». Imperturbabile, invece, la stessa Armella, che corroborandosi con una sigaretta mantiene il rigore dell’impostazione: «Abbiamo affidato a un’analisi tecnico-finanziaria - spiega al Giornale, in una pausa della cerimonia nell’ex convento delle domenicane - la verifica della situazione, constatando che si è creato uno squilibrio fra le parti al momento della formalizzazione del contratto. Doveva essere garantita, al momento della sottoscrizione, la somma di 10 milioni e mezzo a Spim che invece non sono mai stati versati dalla banca incaricata dell’operazione. Non spetta a noi trarre conclusioni - ci tiene a ribadire la presidente Armella, mentre viene “reclamata“ a voce e a gesti inequivocabili dalla figlioletta che scalpita da un capo all’altro del monastero -, ma abbiamo il dovere di chiedere di accertare.

In questo senso, la presentazione dell’esposto denuncia è un atto dovuto, presentato fra l’altro dal soggetto leso, cioè noi, in assoluta trasparenza». Sarà la magistratura, insomma, a decidere se la Spim è rimasta vittima della finanza creativa per colpa di qualcuno o per colpa del mercato. Certo, pare, non per colpa del destino.

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