Spesso ci interroghiamo sul perché anche quando le multinazionali della moda si assicurano un brand italiano, creatività e produzione restano nei luoghi d’origine. Non è una questione di diritti dei lavoratori o di garanzie pretese dai governi di Roma, è perché dietro la bellezza italian style c’è una storia, una vocazione, un destino, un incrocio di condizioni irripetibili in altre latitudini. Ma il lusso, l’arte, la cultura vanno coltivati e arricchiti. A maggior ragione in un contesto che vede per la prima volta registrare segnali di stanchezza nel settore che ha dato i natali al Made in Italy. Perché la moda non è un lusso, è una macroregione nell’immaginario italiano e globale. Di questo e tanto altro si parlerà nell'evento "La moda non è un lusso" si terrà a Firenze presso Palazzo Pucci il 23 ottobre alle ore 9. Al link di seguito è possibile iscriversi gratuitamente per partecipare all'evento: https://shorturl.at/BVeUl
I primi anni di vita di Rosa Genoni sono identici a quelli di tante bambine nate tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Viene al mondo in una famiglia numerosa (venti cristiani sotto un tetto) nel 1867 a Tirano, nella media Valtellina, e conosce il dolore della perdita di fratelli e sorelle (moriranno in sei). Fin da piccina sa quanto sia duro vivere. Desidera qualcosa di più per sé. Non si tratta di arrivismo, ma di far fruttare il proprio talento. Il più evangelico degli insegnamenti, oltre all’amare il prossimo, che lei, che poi sarebbe cresciuta tra i socialisti, mette in pratica fin dalla più tenera età.
A dieci anni va a Milano da una zia sarta. Di giorno, le sue ditina imparano in fretta ad usare ago e filo. Di sera, invece, Rosa le usa per scrivere alla scuola serale dove prende anche lezioni di francese, una lingua che si rivelerà poi fondamentale per lei. Grazie a questa conoscenza, infatti, il Partito operaio italiano la manda a Parigi per partecipare a un convegno e Rosa rimane incantata dalle boutique degli Champs-Élysées. Belle. Bellissime.
La Genoni gira tra Italia, Francia e Svizzera. Conosce Anna Kuliscioff, la rivoluzionaria socialista con la quale combatterà importanti battaglie in favore delle donne lavoratrici e dei minori. Si dedica anima e corpo alla moda, cambiandola. Anzi: rivoluzionandola. Si accorge infatti che non esiste uno stile italiano e che le più importanti case copiano i bozzetti francesi, creando prodotti senz’anima. Eppure il nostro Paese ha una lunga e preziosa tradizione stilistica. Com’è possibile che non esista una moda italiana? Com’è possibile che, chi produce capi in Italia, prediliga tessuti e filati che non sono stati realizzati nel nostro Paese? Ma soprattutto, per usare le sue stesse parole, “come mai una moda italiana non esiste ancora?”. Ecco, Rosa parte da qui. E la crea. Guarda al passato - celebre l’abito che si rifà alla Primavera del Botticelli - ma soprattutto al futuro, che è fatto anche di filiere e di industrie, capaci di realizzare i prodotti che le servono. Perché - e questa è una delle grandi intuizioni della Genoni - moda non è semplicemente confezionare un abito. Moda significa conoscere come è stato realizzato un tessuto, un filato, per impiegarli al massimo delle loro potenzialità. Per, e si torna sempre lì, far fruttare i loro talenti. Valorizzarli.
Rosa comprende che non è un atomo. Che l’unico modo per creare davvero una moda italiana è quello di condividere e diffondere il suo sapere. Nasce così in Lombardia (e siamo ormai nel 1909) un comitato per una moda di pura arte italiana. La Genoni è ormai un punto di riferimento. Scrive non solo di moda, ma anche di diritti, soprattutto per La difesa delle lavoratrici, la rivista della sua amica Anna Kuliscioff. Vip e nobildonne, intanto, vestono i suoi capi ispirati alla classicità, al Medioevo e al Rinascimento. Perché la moda, per lei, è un continuum, una ricreazione continua di ciò che è già stato. Uguale e sempre diverso.
Scoppia la Prima guerra mondiale e Rosa sta dalla parte della neutralità. Incontra i ministri di alcuni dei più importanti Paesi europei e cerca di portarli sulla via della pace. Ma non c’è nulla da fare: l’inutile strage non si fermerà fino al 1918 e sarà seguita dagli anni duri del fascismo. Nel 1924 riesce finalmente a sposare Alfredo Podreider, un avvocato che amava tremendamente ma la cui madre avversava il loro rapporto. Allo scoppio della guerra, Rosa si trasferisce a Varese. Ancora una volta è dalla parte della pace.
Nel 1948, e in questo si vede ancora una volta la grande attualità di questa donna, scrive una lettera al conte Folke Bernadotte, mediatore Onu, sulla questione palestinese chiedendo una soluzione in grado di accontenare arabi ed ebrei. Morirà nel 1954, Rosa. Dopo aver fatto fruttare i suoi talenti (e pure quelli della moda italiana).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.