Arrestato stamane a San Paolo Diego Dzodan, il responsabile di Facebook in Brasile oltre che vice-presidente per l’America latina della multinazionale fondata da Mark Zuckerberg. Il motivo? Non per narcotraffico, come alcuni hanno scritto sui social, ma per avere disubbidito all’ordine di un giudice verde-oro che stava indagando su alcuni narcos, evitando di “aprire” il WhatsApp degli indagati.
In Brasile il sistema gratuito di messaggeria – sia testo che vocale – che è di proprietà di Facebook era già stato chiuso per qualche ora lo scorso anno, per un motivo analogo. Ora, evidentemente, la giustizia del paese del samba ha deciso diversamente, forse per il ripetersi di questa “mancanza di collaborazione”.
Certo è che il caso ricorda quello statunitense della querelle FBI-Apple, con la prima desiderosa di avere tutti i dati dell’iPhone dei terroristi di San Bernardino, e l’azienda che risponde picche.
Qui invece di terrorismo si tratta di narcotraffico ma la questione, almeno dal punto di vista etico-morale, è simile ed induce ad una domanda: sin dove la privacy deve avere la meglio sulle inchieste della giustizia contro criminali?
Per quanto concerne invece lo specifico, il capo di Facebook Brasile – che tra l’altro è un argentino – è stato arrestato dalla polizia antidroga paulista mentre si stava recando nel suo ufficio dell’Itaim Bibi, quartiere bene di San Paolo perché ha disobbedito
ad un ordine della giustizia verde-oro. Probabile che sia presto rilasciato ma non è escluso che WhatsApp possa di nuovo essere chiuso, magari temporaneamente, scatenando come qualche mese fa l’ira funesta di Mr Zuckerberg- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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