In un preciso passaggio di Give Glad Tidings to the Patient, Abu Bakr al-Baghdadi riconosce ufficialmente la nuova evoluzione dello Stato islamico: Da organizzazione centralizzata a rete terroristica clandestina.
Give Glad Tidings to the Patient
Give Glad Tidings to the Patient, che potremmo tradurre in “Dà la Buona Novella a Coloro che Perseverano”, è la citazione del verso 155 della Surah Al-Baqarah (And We will surely test you with something of fear and hunger and a loss of wealth and lives and fruits, but give good tidings to the patient). Il messaggio è stato diffuso sulla rete il 22 agosto scorso per celebrare la festa musulmana di Eid al-Adha. L’ultimo messaggio di Abu Bakr al-Baghdadi risaliva al 28 settembre dello scorso anno. Give Glad Tidings to the Patient, simile nel tono, nella lingua e nelle esortazioni a quello dello scorso anno, è stato pubblicato da Al-Furqan Media, ala mediatica del gruppo utilizzata per la diffusione dei monologhi audio della leadership del movimento. L'ultimo messaggio audio diffuso da Al-Furqan risale al 22 aprile scorso. Intitolato "So From Their Guidance Take An Example” (Quindi dalla Loro Guida prendi Esempio) è stato letto da Abul-Hasan Al-Muhajir, portavoce dello Stato islamico.
Nella prima parte di Give Glad Tidings to the Patient, al-Baghdadi si rivolge in prevalenza ai sunniti in Iraq ed in Siria. Nella seconda affronta il declino dell’America. Nella terza ed ultima parte, al-Baghdadi invoca attacchi contro i Crociati citando la tattica dell’IRA che abbiamo analizzato in precedenza. Al-Baghdadi, infine, ribadisce il valore della propaganda dello Stato islamico, definendo i Media Operative come Mujaheddin. Non invoca attacchi contro i media center infedeli (come fece lo scorso anno), ma esalta i Mujaheddin della rete consacrandone l’attivismo.
Le parole di al-Baghdadi
Il linguaggio è strumento di influenza, con forme metriche strutturate per riflettere la visione di una realtà. E' il linguaggio a definire le azioni accessibili e delegittimare le altre percezioni del mondo. La strategia linguistica dello Stato islamico si basa sul concetto dogmatico della giustizia divina che motiva e azioni in vita. E’ l’interpretazione che motiva l’omicidio, inteso come obbligo sacro. Le azioni fisiche sono soltanto il mezzo per raggiungere l’obiettivo spirituale. Oltre alle necessità operative contestuali, negli ultimi mesi lo Stato Islamico ha ordinato ai suoi migliori esperti di concentrare le risorse per rispondere ad al Qaeda, ritornata con prepotenza e capacità sulla rete con opere molto raffinate ed incisive. Lo Stato islamico si sarebbe reso conto dell'inefficacia dei Media Operative, orfani di una costante linea strategica di riferimento come ad esempio avvenuto durante il Ramadan o i Mondiali di Russia (mai attenzionati dall'organizzazione centrale). La propaganda è essenziale per la sopravvivenza dello Stato islamico sia come gruppo che come idea per coltivare quella profondità strategica digitale. È un meccanismo prezioso con il quale far valere l’acquiescenza nel suo proto-Stato ed un’arma penetrante con cui affermare la propria egemonia terroristica all’estero. Negli anni a venire, servirà come bandiera attorno alla quale i veri credenti del califfato si raduneranno, una volta perduti i territori.
Il passaggio sull'evoluzione dello Stato islamico
“Nonostante l'inferiorità numerica, lo Stato islamico ha negli anni eroso le forze nemiche grazie ad una serie di campagne mirate. Una nuova fase della guerra ha ora inizio. La scintilla è stata accesa qui in Iraq ed il suo calore continuerà ad intensificarsi. La fiamma che alimenteremo ridurrà in cenere gli eserciti crociati che incontreremo a Dabiq”.
L’autore del testo fa leggere ad Al-Baghdadi le parole proferite da Abu Musab al-Zarqawi, originale fondatore del gruppo. E’ di al-Zarqawi la frase “una pallottola contro l'occupante americano e nove contro gli apostati”. Il compimento delle profezie di epoca abbaside riguardanti la fine del mondo con battaglia a Dabiq, la Megiddo della fede islamica, non è più imminente, ma posticipata ad un giorno.
Il problema della visione rivoluzionaria dei jihadisti
Nella loro visione transnazionale jihadista, i terroristi immaginano uno califfato che gradualmente espande il proprio controllo a livello globale, trasformando i diversi successi locali in un impatto politico transfrontaliero e mobilitando abbastanza musulmani a sostegno della loro visione rivoluzionaria. Una strategia più volte esposta da Abu Bakr Naji (autore di Management of Savagery: The Most Critical Stage Through Which the Umma Will Pass) ed Abu Musab al-Suri (autore di The Call to Global Islamic Resistance). Tuttavia le sigle jihadiste tendono solitamente a sovrastimare la capacità di espandersi oltre i loro confini cosi da tradurre gli iniziali successi locali in regionali o globali. E’ il medesimo errore commesso da Bin Laden e da al-Baghdadi: Entrambi credevano in una mobilitazione di massa del mondo musulmano per una guerra totale contro gli Stati Uniti. Il leader di al Qaeda credeva che gli attacchi dell’11 settembre avrebbero spinto gli Stati Uniti a combattere apertamente i musulmani. Nel sogno di Bin Laden, al Qaeda avrebbe guidato i musulmani di tutto il mondo nella guerra totale contro gli Stati Uniti. Bin Laden credeva che la comunità musulmana mondiale avrebbe dato priorità all'identificazione religiosa rispetto all'identità nazionale. Quella auspicata mobilitazione di massa musulmana contro gli Usa si rivelò un fallimento. Al Qaeda si rese ben presto conto di aver sovrastimato l'interesse e la volontà dei musulmani di vivere sotto un nuovo ed oppressivo dominio islamico radicale.
Testare un modello dinamico
Lo Stato islamico ha sostanzialmente invertito gli obiettivi introducendo immediatamente il califfato. Così facendo i terroristi credevano di legittimare gli appelli dello Stato islamico per quel califfato che avrebbe dovuto unire a se la comunità musulmana mondiale. Instaurando immediatamente il califfato (e non ponendolo come obiettivo finale), gli strateghi di al-Baghdadi speravano di assorbire anche le fazioni jihadiste avversarie che non avrebbero potuto far altro che schierarsi a favore dello Stato islamico. Pur godendo delle condizioni più favorevoli per l'espansione jihadista (guerra civile in Siria, l'emarginazione dei sunniti iracheni ed il ritiro degli Stati Uniti dall'Iraq) i jihadisti difficilmente avrebbero avuto successo. Lo Stato islamico si sarebbe in ogni caso scontrato con gli Stati Uniti, i suoi alleati e la capacità della comunità internazionale di contrastare gli obiettivi transnazionali jihadisti. Dal 2014 ad oggi lo Stato islamico ha perso il 98% del suo territorio. La comunità internazionale deve essere vigile riguardo alle minacce emergenti e cercare di ridurre la capacità dei gruppi jihadisti di acquisire potere e prevenire l'espansione territoriale dei terroristi. A tale scopo, la comunità internazionale dovrebbe istituire una forza di reazione rapida per contrastare l’espansione transfrontaliera.
Al Qaeda: La gestione delle barbarie
Facilitare la graduale espansione transfrontaliera
Il principale testo operativo di al-Qaeda si intitola Management of Savagery: The Most Critical Stage Through Which the Umma Will Pass. Scritto da un certo Abu Bakr Naji è stato pubblicato nel 2004. E’ l’unica opera della letteratura pubblica jihadista ad essere stata firmata da Abu Bakr Naji. Si ritiene che fosse l’egiziano Mohammad Hasan Khalil al-Hakim noto anche come Abu Jihad al-Masri (l'egiziano) eliminato in un raid USA il 31 ottobre del 2008. Se Abu Bakr Naji e Mohammad Hasan Khalil al-Hakim fossero la stessa persona, all’autore bisognerebbe accreditare anche il testo strategico Myth of Delusion del 2006 ed il saggio Towards A New Strategy in Resisting the Occupier. Management of Savagery consta di 268 pagine divise in cinque argomenti. E' un lungo e complesso testo retorico che richiede uno studio accurato. L’opera presenta una strategia per creare/ sfruttare il caos o la ferocia dei regimi politici per formare succursali (isole del disordine) di al Qaeda. I jihadisti avrebbero dovuto garantire sicurezza e servizi di base alla popolazione locale delle isole. Le isole sarebbero state il trampolino di lancio per l'espansione nelle terre confinanti (divisi in paesi primari e secondari) ed il progressivo consolidamento di uno stato islamico. I paesi primari sono quelli con regimi di governo deboli, scarso patriottismo, armi disponibili. Gli stati primari servono principalmente come basi logistiche. Idealmente, il successo nell'istituire il dominio jihadista nelle posizioni primarie consente l'espansione nei paesi secondari. Le isole si sarebbero poi unite per proclamare un califfato mondiale innescato dal crollo della monarchia saudita. Al Qaeda, infine, avrebbe assunto il controllo della capitale religiosa del mondo islamico.
Abu Bakr Naji, teorico della strategia Gestione delle barbarie, chiede di continuare la lotta jihadista contro l'Occidente, mentre predica pazienza per la creazione di un nuovo califfato. Si tratta di una strategia di diramazione in risposta alla riconosciuta incapacità del gruppo di operare oltrefrontiera. Così come bin Laden, Naji sostiene l'uso del terrorismo come mezzo per spingere gli Stati Uniti a spargere le sue forze ed esaurire la sua economia. Tuttavia Naji crede nel sostegno popolare ai jihadisti, ignorando il rifiuto da parte dei musulmani di sposare l'interpretazione radicale jihadista dell'Islam. Come i principali pensatori jihadisti, infine, Naji sottovaluta le capacità degli Stati Uniti. La strategia della Gestione delle barbarie fallisce poiché le isole di al Qaeda tendevano a concentrarsi sulle loro arene locali a svantaggio della visione della leadership (la lotta contro gli Stati Uniti). La segmentazione ha anche diminuito la composizione multinazionale del gruppo in quanto l'appartenenza a livello di filiale si basava principalmente sulle forze locali.
Stato islamico: Da organizzazione ribelle a rete terroristica clandestina
La realizzazione delle aspirazioni ideologiche sono molto più importanti della gestione permanente di qualsiasi pezzo di terra
Fin dal 2014 lo Stato islamico ha pianificato la perdita dei suoi territori conquistati per concetti che richiamano chiaramente la tattica asimmetrica applicata ad una guerra lampo di conquista contro preponderanti forze nemiche (quindi l’incapacità di materiale di mantenere nel tempo i territori). L'Isis non si è mai posto l’obiettivo di istituire un'amministrazione duratura. Se la finalità fosse stata la cittadinanza, la strategia adottata sarebbe stata diversa. Certamente opposta alla scia di terrore che ha terrorizzato il Medio Oriente ed il Nord Africa e che ha provocato, inevitabilmente, l’intervento della comunità internazionale. Gli atti ritenuti controintutivi dell’Isis sono ingranaggi di una strategia guidata che privilegia la longevità concettuale ideologica alla presenza fisica. L'Isis non mirava all’instaurazione di un governo jihadista, ma alla sperimentazione di un nuovo modello insurrezionale applicabile, polarizzando l'ideologia jihadista. Il ricordo di Mosul continuerà ad infervorare negli anni i cuori dei veri credenti, esempio dell'utopia jihadista. Il vero obiettivo dell’Isis era quello di testare un prototipo di guerra generazionale, un modello insurrezionale dinamico.
Un prototipo di guerra generazionale: La longevità concettuale ideologica
Le organizzazioni insorgenti detengono e colpiscono un territorio, possono esercitare la sovranità su una popolazione, operano come forze armate strutturate sulla mobilitazione di massa. I terroristi non possiedono nessuna di queste caratteristiche (sebbene sia prevista l’illusione di una profondità). La narrativa Isis ha già ben delineato il ruolo dell’attuale generazione, destinata a non poter assistere al compimento delle profezie. Lo Stato islamico non possiede la forza per riconquistare i territori perduti in Siria e Iraq (non è questo l’obiettivo di una forza irregolare), mentre continueranno le azioni ispirate al Dominio Rapido. Tuttavia il vero ruolo dell’attuale generazione jihadista fedele al califfato sarà quello di massimizzare l'evoluzione dei lupi solitari in forza terroristica clandestina con un’entità meno centralizzata. L'evoluzione della minaccia terroristica in Occidente è strettamente legata ai cambiamenti strategici dello Stato islamico in Medio Oriente e nel Nord Africa.
Lo Stato islamico concentra le risorse sia per rafforzare le roccaforti esistenti in Libia, nella penisola del Sinai in Egitto, in Afghanistan e Yemen sia per tentare nuove ramificazioni nei territori (governati e non) propensi al Jihadismo salafita, dal Caucaso settentrionale all'Asia sudorientale. Lo Stato islamico sta attualmente adottando il medesimo playbook della violenza mirata (attacchi, omicidi e intimidazioni) strategia che gli ha permesso di dominare le aree rurali nel 2012 e nel 2013. Nell’ultima stima del Dipartimento di Stato Usa, lo Stato islamico è pienamente operativo in almeno 18 paesi. In sei di questi (Egitto, Indonesia, Mali, Filippine, Somalia e Bangladesh) il gruppo sta cercando di ricreare forme di governo sul proto stato in Iraq e Siria.
L’insurrezione ed il terrorismo non sono la stessa cosa
Diversi nella strategia, simili nelle tattiche. Potremmo semplificare affermando che a differenza del terrorismo, la guerriglia cerca di stabilire un controllo fisico su un territorio. La necessità di dominare un territorio è elemento fondamentale della strategia insurrezionale poiché garantisce il serbatoio umano per il reclutamento e le strutture logistiche dell’esercito strutturato. Il terrorismo non mira ad un controllo tangibile del territorio ed opera con piccole unità difficilmente rintracciabili con equipaggiamento improvvisato. Il terrorismo non si basa sulle zone liberate per consolidare la sua esistenza ed accrescere la sua forza. La sfera di influenza della strategia del terrorismo è nel campo psicologico. E’ una differenza sostanziale e come tale pretende diverse contromisure. A differenza dei guerriglieri, i terroristi non hanno alcuna base territoriale e non indossano divise, ma si confondono con la popolazione civile.
Possiamo quindi affermare che l’attentato terroristico in se è un’azione razionale sorprendente che bilancia immediatamente le forze con il nemico (lo Stato) in un arco temporale strettamente limitato. La guerriglia, nonostante la sua componente psicologica, è principalmente una strategia basata sullo scontro fisico tra due forze (la dottrina insurrezionale punta alla campagna contro le milizie governative).
Il terrorismo è un fenomeno lucidamente razionale, all'interno di una più ampia strategia di comunicazione politica coercitiva, dove la violenza viene usata nella deliberata creazione di un senso di paura per influenzare un comportamento e un determinato gruppo di destinatari. L'illusione di una tattica indiscriminata è essenziale per colpire psicologicamente coloro che sono sfuggite alle conseguenze fisiche di un attacco terroristico. Queste risposte comportamentali per massimizzare l'utilità negli ambienti strategici dinamici, sono riconducibili ad una logica strumentale alla base dei piani di azione. La razionalità procedurale spiega come il terrorismo è il prodotto di un'analisi logica del costo-beneficio, dell'utilità prevista e delle strategie coercitive all'interno di una serie limitata di opzioni disponibili per i gruppi politici non statali.
Stato islamico: Una lotta generazionale a lungo termine
L'organizzazione terroristica è tenuta insieme dalla sua ideologia, non dalla sua presenza fisica in Iraq e Siria. E' il concetto del "Califfato nel cuore" alla base della nuova organizzazione globale che, verosimilmente, potrebbe colpire l'Occidente nel breve termine. Proprio il 2016 sarebbe stato un anno formativo per raffigurare le future perdite territoriali come un compimento delle profezie. La narrativa apocalittica spiega che Dabiq è ovunque e non più geograficamente localizzata. Tradotto significa che lo Stato islamico attende ancora la resa dei conti e che la profezia non è ancora compiuta. Per il terrorismo jihadista, il territorio fisico in senso stretto è un’idea, mentre le sconfitte sono semplicemente prove per determinare la fede di un vero credente. La perdita fisica di un territorio limiterà sia la capacità economica che quella di reclutamento massiccio, ma la natura fortemente decentralizzata del gruppo assicurerà una presenza costante nel tempo. La battaglia finale tra l’Islam e Roma, attesa da più di 1400 anni, si svolgerà un giorno a Dabiq. Dabiq è un’ideale, la Megiddo della fede islamica, luogo della battaglia finale tra le forze del bene e quelle del male. In realtà proprio a Dabiq, l’Impero Ottomano sconfisse il Sultanato mamelucco nel 1517, crollando nel 1918 con la fine della prima guerra mondiale. La nozione di califfato ha dimostrato di essere un eccellente catalizzatore per il reclutamento dei giovani insoddisfatti musulmani, in particolare nell’Europa occidentale, dove si trovano ad affrontare l’elevata disoccupazione, straniamento culturale e discriminazione.
Le illusioni dei crociati nella Età del Califfato
“Le illusioni dei crociati nella Età del Califfato” è ritenuto il primo contenuto editoriale in cui si inizia ad ipotizzare il declino del califfato e la nuova strategia generazionale insurrezionale.
“Lo Stato Islamico potrebbe presto degenerare in un califfato sulla carta, privo della sua terra e della sua leadership. Eppure, questo non è un problema perché per sua natura, il ciclico destino dello Stato islamico lo porterà a rinascere e ripresentarsi. La vittoria degli Stati Uniti sarà ancora una volta illusoria. Qualora volessero vincere, dovrebbero eliminare un’intera generazione di sostenitori del califfato in tutto il mondo. E ciò non avverrà. I crociati ed i loro alleati apostati credono, allargando la portata delle loro operazioni militari, che conquisteranno l’Iraq, la Siria, il Sinai, l’Africa occidentale e le province libiche. Credono di riuscire ad eliminare tutte le province dello Stato islamico in una sola volta, spazzandole via e non lasciandone traccia. I crociati trascurano un fatto importante: l’intero mondo è cambiato da quando è sorto il Califfo. Niente sarà più come prima, mentre piani e strategie di sviluppo, in vista di un futuro prossimo, sono destinati a fallire perché basati su un mondo che non esiste più. Perdere una città, eliminare un emiro o un imam: questo non cancellerà lo Stato islamico. Dovrebbero rivalutare e riprogettare i loro piani su questa base, ma non lo faranno. Se volessero raggiungere la vittoria, e non lo faranno, dovrebbero eliminare un’intera generazione di musulmani, testimoni della fondazione dello Stato islamico e del ritorno del califfato”.
Il ricordo di Mosul continuerà ad infervorare negli anni i cuori dei veri credenti, esempio dell'utopia jihadista. Il vero obiettivo dell’Isis era quello di testare un prototipo di guerra generazionale. Un modello insurrezionale applicabile per colpire il resto del mondo. Storia insegna che la vittoria non si basa sulla conquista fisica del territorio, ma sulla volontà di piegare la forza di volontà ed il desiderio di combattere del nemico.
La strategia generazionale
L’obiettivo della propaganda (tattica di rivendicazione strutturata per dare l’illusione di una portata globale) nel breve e medio termine, sarà quello di continuare ad incentivare l’espansione del gruppo nelle regioni dove la penetrazione jihadista è stata relativamente debole.
All’attuale generazione jihadista è stata già affidata la responsabilità di una guerriglia urbana a lungo termine così da minare la volontà politica dei paesi occidentali allineati contro lo Stato islamico. La leadership dell’organizzazione terroristica è ben consapevole che l’elemento più vulnerabile delle democrazie occidentali è la volontà del popolo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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