"Vi dico che cosa accadrà alla Russia e cosa rischia Putin"

Carolina de Stefano, docente storia e politica russa della Luiss, prevede un periodo di forte instabilità per la Russia che, ora, dipenderà sempre più dalla Cina

"Vi dico che cosa accadrà alla Russia e cosa rischia Putin"

"Non credo che l'Occidente si debba aspettare che ci sia un cambio di potere in Russia per merito delle sanzioni perché le misure repressive introdotte preventivamente sono fortissime". Carolina de Stefano, docente storia e politica russa dell'università Luiss di Roma, prevede un periodo di forte instabilità politica per Mosca, ora che le mire espansionistiche di Vladimir Putin si sono rese evidenti agli occhi di tutto il mondo con la guerra in Ucraina.

Quali saranno, allora, gli effetti delle sanzioni dell'Occidente sulla Russia?

"Gli effetti sono evidenti già adesso sul sistema politico-economico. Nonostante la tendenza di Vladimir Putin fosse nell'andare verso un regime sempre più autoritario, c'era un'idea di sviluppo economico autarchico affidato al primo ministro. Il primo effetto di queste sanzioni è cambiare la natura del regime. Ora, infatti, la Russia diventa una nazione in stato di guerra permanente e ciò durerà anche se i russi dovessero ritirarsi dal conflitto. Un qualcosa che rompe il processo di tecnocratizzazione del sistema, ossia uno sviluppo autonomo della Russia che doveva essere in parte sganciato dalla Cina. In secondo luogo, questa situazione fa tornare indietro il Paese di 30 anni. Ovviamente non si torna all'Unione Sovietica perché il sistema è parzialmente diverso però, soprattutto in questa fase di riconversione verso la Cina, i prodotti scarseggeranno e lo sviluppo delle tecnologie sarà frenato. In Russia ci sarà un senso di instabilità politica che porterà a inasprire ulteriormente il regime politico. Da una parte, quindi, il sentimento di protesta che c'era emergerà sempre meno e dall'altra parte c’è che i russi hanno una resilienza tale per cui la crisi economica non è necessariamente affrontata con la ribellione, ma con un senso di rassegnazione".

Ma la Cina quanto interesse ha ad aiutare la Russia e Putin?

"Tanto perché la Russia ha un mercato di risorse sterminato. Per i cinesi, aumentare sensibilmente l’approvigionamento energetico e di altre materie prime russe rafforza ulteriormente la sua posizione nella costruzione di un nuovo ordine globale. Significa poter comprare interi pezzi di imprese statali energiche russe a prezzi ridicoli e, in pratica, avere in pugno i russi. Credo, quindi, che i cinesi preferiscano la prevedibilità e nessuno sa chi ci potrà venire dopo Putin. Potrebbe essere un altro siloviko ancora più radicale di Putin che potrebbe generare instabilità nel sistema russo. Perché i cinesi dovrebbero puntare sul dopo Putin? Al momento possono approfittare della situazione, anche se allo stesso tempo non devono rompere con l’Occidente. Ai cinesi non interessa che la Russia abbia una crisi politica anche per la stabilità dell'Asia Centrale".

Quali saranno le contromosse di Putin nei confronti dell'Occidente?

"La principale contromisura a disposizione di Putin è quella energetica, con cui tiene in pugno molti paesi europei, compreso il nostro, fino a quando non avremo un'indipendenza dall'energia russa, che è ancora lontana. Teniamo presente anche che praticamente tutte le crisi che ci sono state in passato con l'Ucraina sono avvenute d'inverno per lo stesso motivo e che il gas che arriva nelle nostre case passa ancora dall'Ucraina".

Ma, se l'esercito inizia a perdere molti uomini sul campo e gli oligarchi perdono il loro potere, è possibile che ci sia una rivolta nei confronti di Putin?

"La possibilità c'è sempre, ma serve considerare che un oligarca come Abramovich è a Londra da anni, è fuori dal sistema. In base alla Costituzione, che è stata modificata di recente da Putin, chiunque abbia avuto la residenza all'estero anche per un solo anno, non può candidarsi a presidente. In questo modo Putin ha costruito un cordone sanitario attorno a sé per non consentire che ci siano oligarchi che lo facciano fuori dall'esterno al momento della sua uscita. Gli oligarchi interni, ossia coloro che fanno parte della cerchia stretta di Putin, dirigono le aziende statali e, quindi, non vedo come possano sganciarsi dal politico che gli ha consentito di arricchirsi. Una delle possibilità di rivolta interna, che al momento sembra comunque remota, potrebbe venire dai siloviki scontenti della decisione e dell’andamento della campagna militare".

Dopo 22 anni, il consenso popolare di Putin è ancora così alto?

"Il consenso popolare è sceso sensibilmente. C'è stato un momento cruciale, il 2018, quando ha introdotto la riforma delle pensioni e ha perso il suo tradizionale bacino elettorale di anziani. Da quel momento non si è più ripreso e non credo che si riprenderà ora. Il sostegno nelle amministrazioni pubbliche c'è ancora anche se meno euforico rispetto al 2014. Si tratta di un sostegno più alla stabilità politica che a Putin. Il suo potere e il suo sistema si è, logorato nel tempo e ora si concentra non a caso su un programma imperialista per ridare splendore all'orgoglio nazionale. Nelle prime presidenze, infatti, Putin si è occupato di mettere ordine e di ricostruire la verticale di potere che nello scorso dicembre è stata definitivamente ricostruita con una legge mastodontica che ha concentrato il potere nelle sue mani. Non a caso, appena questo processo è finito è partita la fase 2, quella imperiale".

Putin si fermerà davvero all'Ucraina?

"Secondo me, il progetto iniziale era l'Ucraina, un'ossessione che Putin aveva da anni. Ha cercato di controllarla politicamente e, poi, alla fine, ha deciso che non c'era altra opzione che non quella militare. Questo, però, non esclude, nel caso di un’escalation, che Putin possa estendere il conflitto più che ai Paesi baltici verso territori ex sovietici che non fanno parte della Nato. Bisogna capire se nel progetto imperiale slavo-ortodosso con cui ha giustificato l’attacco all’Ucraina c'è il desiderio di inglobare altre comunità come quella russofona del nord del Kazakistan. Di sicuro saranno più tese le tensioni tra tutte le Repubbliche ex Sovietiche".

È presumibile che, una volta ottenuta la Crimea e il Donbass, Putin si accontenti e la guerra finisca?

"Quella in Ucraina più che un'operazione di conquista territoriale è un'operazione politica. I russi vogliono avere una garanzia che a Kiev ci sia un governo filorusso anche in futuro.

E credo che a Mosca non abbiano ancora un'idea ben precisa dell'assetto politico che dovrà crearsi dopo la guerra. Al momento, inoltre, non conosciamo quali siano le garanzie istituzionali e/o costituzionali che consentano il ritiro dei russi dall'Ucraina. È davvero possibile che tengano Zelensky con un vice filo-russo?".

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