La fine del miraggio Volkwagen e la caduta dell'impero tedesco

Dopo il dieselgate le azioni in Borsa della Volkswagen sono crollate, mentre si rafforzano quelle della concorrenza

La fine del miraggio Volkwagen e la caduta dell'impero tedesco

Wolfsburg - "Quando arrivai questa era la città del fututo. La Volkswage era la garanzia di un lavoro sicuro per la vita. Per fortuna ai miei figli ho fatto fare l'università e non dovranno fare gli operai in un momento come questo, in cui l'avvenire è così incerto". A parlare è Silvio, 78 anni, che da quando ne aveva 18 vive a Wolfsburg, dove ha lavorato tutta la vita per la più grande impresa della città: la Volkswagen.

Wolfsburg è una cittadina di 122mila abitanti nota per essere le sede della più importate casa automobilistica tedesca. Pianificata e costruita dai nazionalsocialisti nel 1938 come luogo per il lavoratori della Volkswagen, nel secondo dopoguerra è stata il cuore pulsante della rinascita economica del Paese. Una rinascita così preopotente da portare il governo di Bonn a dichiarare nulla la discoccupazione nel 1965 e a firare er questo un accordo con l'Italia che permettesse di importare lavoratori stagionali (Gastarbeiter) dal Belpaese da fare lavorare nelle proprie fabbriche. Migliaia furono gli italiani che, in quegli anni, lasciarono la terra d'origine per gli stabilimenti della Volkswagen a Wolfsburg. Dove molti sono rimasti, hanno messo su famiglia e hanno sviluppato una doppia identità italo-tedesca. Per loro, raccontano, Wolfsburg ha voluto dire lavoro e riscatto e la Volkswagen è stato il mezzo con cui si sono creati una nuova vita. "In questa città non c'è nulla se non le automobili" - spiega Silvio. "I suoi veri governanti nn sono i politici, ma gli alti dirigenti aziendali della Volkswagen. Per noi hanno sempre rappresentato una sicurezza, perché ci garantivano d avere un lavoro sicuro e a buone condizioni".

È oggi ancora così? Silvio e molti altri ex Gastarbeiter temono di no. A seguito dello scandalo internazionale che ha travolto la casa automobilistica la paura che essa chiuda i suoi stabilimenti è grande. Secondo il Ministero del Lavoro tedesco la dirigenza dovrà sborsare 18 miliardi di euro tra multe e cause civili. Nelle ultime settimane, inoltre, le azioni in Borsa della Volkswagen sono crollate, mentre si stanno rafforzando quelle della concorrenza, a partire dalla Ferrari.

La paura tra i lavoratori è diffusa. Il senso di precisione e sicurezza teutonica ha lasciato spazio all'incertezza per il futuro. Se alcuni degli stabilimenti chiudessero cosa farebbe chi oggi vi lavora in una città in cui tutte le professioni sono legate alla produzione delle automobili? "Wolfsburg non sopravviverebbe senza la Volkswagen" - continua Silvio. In questa città non ci sono edifici storici, i luoghi di interesse sono solo i musei di macchine, senza le quali tutto questo non esisterebbe".

A calmare gli animi chi ha provato Mathias Mueller, nuovo amministratore delegato del Gruppo Volkswagen, che ha assicurato che il principale obiettivo del suo staff è quello di evitare che la crisi attuale contagi anche la produzione. "Farò di tutto per evitare i licenziamenti" ha detto, dovendo però poi aggiungere: "I cambiamenti che dovremo apportare non saranno indolori. Ogni investimento non ritenuto assolutamente necessario verrà cancellato".

Ma quanto sono concrete le paure dei lavoratori? Quano invece sono timori infondati? Secondo Michael Kreile, professore emerito della Università Humboldt di Berlino, si può stare tranquilli. La stabilità interna del Paese non verrà messa a rischio dai problemi della sua casa automobilistica più importante. "La Volkswagen è un'impresa con partecipazioni statali (di circa il 20%) ma è pur sempre autonoma e ha la forza sufficiente per risolvere i propri attuali problemi senza coinvolgere le istituzioni" - spiega. "Se lo scandalo avesse contagiato la produzione, la chiusura delle fabbriche e il licenziamento dei lavoratori sarebbero stati immediati. Ad oggi, invece, non ci sono ancora state conseguenze concrete, il che fa sperare che non ce ne saranno mai". Eppure, come fanno notari alcuni lavoratori, la Volkswagen ha annunciato il tagio delle spese in alcuni settori e la conseguente restrizione salariale. "Ma ciò non ha a che fare con l'attuale scandalo" - continua Kreile. "La contrazione salariale non riguarda la Vokswagen nello specifico, è invece un fenomeno che sta interessando tutte le grandi compagnie tedesche. Il fenomeno dell'abbassamento dei salari è una questione nazionale legato soprattutto all'arrivo di milioni di migranti in Germania, di cui solo il 10per cento ha le competenze necessarie per immettersi nel mercato del lavoro tedesco e per questo rischia di venire sfruttato e di portare ad un abbassamento del costo del lavoro. E' questa la vera questione nazionale".

La Germania, dunque, potrebbe dovere fronteggiare grandi problemi economici e strutturali a prescindere dalla crisi della Volkswagen. Ad essere d'accodo con questa tesi è anche Luca Walter Bellocchio, ricercatore presso la facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano ed esperto della materia. Secondo Bellocchio il più grave errore fatto dalla Volkswagen è lo stesso fatto dal governo tedesco: quello di investire massicciamente sul mercato cinese. La Germania è infatti il primo Paese europeo per esportazioni verso la Cina, alla quale vende soprattutto processi e automobili. In questo la strategia del governo di Berlio e della Volkswagen coincidono. "Dietro un grande gruppo economico come questo c'è una grande potenza politica" - spiega. "La Volkswagen è una multinazionale a base nazionale, esattamente come è la Gazprom in Russia. La convergeza è enorme. Al governo di Berlino conviene avere una Volkswagen forte, come la Volkswagen ha interesse a tutelare la stabilità politica del Paese. Entrambi hanno scommesso sull'investimento massiccio nel mercato cinese, dal quale sono diventati dipendenti. Una scelta azzardata che rischia di diventare un suicidio se l'economia cinese fallisse". Alla luce delle gravi difficoltà strutturali che il mercato cinese sta incontrando negli ultimi mesi, dunque, non è da escludersi che la Germania stia andando incontro a profonde crisi.

Il tempo continua a scorrere a Wolfsburg. La gente continua ad andare in fabbrica e a sperare cge le promesse di non chiudere la produzione venga mantenuta. Gli esperti sono ottimisti e rassicurano che da questa crisi si uscirà presto.

Non sarà lo scandalo Volkswagen a rallentare il motore tedesco. Potrebbero però esserlo altre grandi questioni, come l'immigrazione e la crisi cinese. Che mostrano come anche per la potente Germania il futuro sia ancora una grande incertezza.

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