Sondaggi smentiti, almeno in termini di seggi, alle elezioni politiche britanniche. I conservatori del premier David Cameron hanno inflitto una sonora sconfitta ai laburisti di Ed Miliband, pur dovendo ricorrere alla stampella del poco che resta dei Lib-dem di Nick Clegg per strappare la maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni in grado di garantire un’altra legislatura a Downing street. "Questa è stata chiaramente una notte molto positiva per i conservatori", ha detto aggiungendo che intende "governare per tutti" i sudditi di Sua Maestà e soprattutto indire un referendum sul futuro dell'Inghilterra in Europa.
Le consultazioni più intricate degli ultimi anni hanno chiamato alle urne quasi 50 milioni di cittadini per rinnovare i 650 seggi della Camera dei Comuni. Ma il risultato spazza via molte delle incertezze. I Tory sono infatti riusciti ad aggiudicarsi 331 seggi su 650 che gli garantiscono la maggioranza assoluta anche senza gli otto seggi conquistati dai LibDem. Per tutti gli altri partiti, invece, è stato un vero e proprio flop. A partire proprio dai LibDem cge, pur entrando in maggioranza, perdono 47 seggi. Tanto che Nick Clegg rassegna le proprie dimissioni. Anche i laburisti non sorridono: si sono fermati al 232, ventiquattro in meno di cinque anni fa. Insomma, un autentico fiasco per Miliband che, avendo fatto peggio del risultato che costò la premiership e la carriera a Gordon Brown, lascia la guida del partito tra le lacrime. Delude pure lo UK Independence Party, il partito euroscettico di Nigel Farage, rimasto lontano dal grande risultato delle ultime elezioni europee e capace di portare a casa solo un seggio, pur ottenendo il 12,5% e crescendo rispetto alle ultime elezioni politiche britanniche. Lo stesso Farage rimane fuori dalla Camera dei Comuni. Nel suo collegio è stato battuto di 2.000 voti circa dal conservatore Craig MacKinlay. Trionfo record, invece, per gli indipendentisti scozzesi dello Snp della "dama rossa" Nicola Sturgeon che, dopo la delusione del referendum sulla secessione, farebbero piazza pulita in Scozia in 56 collegi su 59 calando su Londra con 52 deputati in più rispetto alla volta scorsa.
L’appello di Cameron agli elettori affinché gli permettessero di "finire il lavoro" non è caduto nel vuoto. In ballo ci sono la ripresa economica di questi anni, pur con i suoi contraccolpi sociali e di bilancio, il rapporto con l’Europa, lo spinoso tema del controllo dell’immigrazione. Incognite future a parte, la democrazia decisionista per eccellenza ha comunque deciso. Un primo classificato stanotte c’è. E sarà lui, David Cameron, a dare le carte per restare al potere "altri cinque dannati anni", come ha scritto (listata a lutto) la prima pagina del Daily Mirror, tabloid filo-Labour. Come garante si farà sentire d’altronde la regina, pronta - a 89 anni e con alle spalle decenni di regno dall’era di Winston Churchill a oggi - a "prendere il controllo" dell’iter istituzionale, come si sono premurate di far sapere fonti di Buckingham Palace.
Il voto lascia infatti aperta la questione scozzese, sulla base del risultato a valanga attribuito alla Snp di Sturgeon nella sua roccaforte. Come pure quella del rapporto con l'Unione europea che Cameron ha promesso di sottoporre entro il 2017 a un referendum carico d’incognite, anche nel giudizio di settori di quella City favorevoli alle ricette economiche del governo a guida Tory. E che Farage vorrebbe chiudere senza se e senza ma per tornare al passato d’una tradizione fatta non solo di sterline, di libbre e di once, ma anche di isolamento e di confini per gli immigrati. I mercati intanto aspettano. La crescita, giunta a un +2,6% annuo che suscita molte invidie in Europa dopo la crisi, e l’occupazione scesa fra il 5 e il 6%, restano dati positivi. Ma non al riparo dalla frenata dell’economia registrata proprio una settimana fa.
Mentre i tagli evocati da Cameron del welfare rischiano di aggravare drammaticamente i problemi sociali dei non pochi che sono rimasti esclusi dalla "ripresa". Sulla testa di tutti continua a pendere poi la spada di Damocle d’un debito pubblico alimentato dal deficit annuo salito al 5,6% del Pil: quota che precipiterebbe nei guai qualunque Paese della disprezzata eurozona.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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