Dopo le vittorie “lampo” di Daesh in città come Mosul (giugno 2014) in Iraq e Palmira (maggio 2015) in Siria, strategiche dal punto di vista delle rotte di approvvigionamento, ma anche dal forte impatto mediatico, il governo iracheno si prepara alla contro-offensiva nel momento in cui i jihadisti sono più in difficoltà. I fatti parlano chiaro: nell’ultimo anno il Califfato ha perso dal 15 al 20 per cento del suo territorio. Lo storytelling gonfiato dai comunicatori di Daesh utile al reclutamento e alla diffusione del terrore non coincide più con la realtà bellico-territoriale. La liberazione parziale di Ramadi - resterebbero alcune sacche di resistenza nella parte orientale della città - del capoluogo a maggioranza sunnita della provincia nord occidentale di al Anbar, segue quelle di Sinjar e di Tikrit, riconquistate rispettivamente il 17 aprile e il 14 novembre scorso, riscatta le umiliazioni subite dall’esercito locale in tutti questi anni e offre all’immaginario collettivo iracheno un nuovo inizio.
“Il prossimo anno vedrà la disfatta totale dello Stato islamico in Iraq, il 2016 sarà l’anno della grande vittoria finale, giorno in cui liberemo Mosul”. A dichiararlo è stato il primo ministro iracheno Haider al Abadi, di confessione sciita, in un discorso trasmesso oggi dall’emittente di Stato. Nel pomeriggio si è poi recato in visita nelle zone liberate per ringraziare le forze di sicurezza. Ad accoglierlo c’erano il generale Riad Yala, responsabile delle forze di terra, nonché il comandante del dipartimento di lotta al terrorismo, il generale Abdel Gani al-Asadi, il capo della polizia dell’Anbar, Hadi Zirikh, e alti funzionari di ministeri di Interno e Difesa. Ora c’è da organizzare la gestione delll’area ed evitare gli errori del passato che hanno contribuito all’ascesa prima di Al Qaeda e poi del sedicente Califfato guidato da Abu Bakr al Baghdadi. Ramadi, Sinjar, Tikrit, in futuro, forse, Mosul. Il leader sciita al Abadi dovrà vedersela con la popolazione sunnita, ma anche con i curdi iracheni, e soprattutto con il prossimo leader che conquisterà la Casa Bianca.
“La sovranità irachena è una linea rossa e noi siamo pronti a cooperare con tutti i Paesi che vogliono privilegiare gli interessi dell’Iraq” ha concluso il premier nel suo discorso. Barack Obama è stato chiaro sulla posizione degli Usa in Medio Oriente: niente “battaglioni in marcia nel deserto” ma una fitta rete di “Special Forces” - di cui non si conosce bene il ruolo specifico - dislocate nelle aree più difficili (secondo un rapporto del Comando delle Operazioni speciali degli Stati Uniti pubblicato recentemente sul New York Times, negli anni Duemila, oltre alle truppe regolari, il Pentagono avrebbe schierato circa 13 mila unità appartenenti a questo reparto concentrandone una larga parte in Iraq e in Afghanistan).
Al Abadi di fatto dovrà vedersela in particolare con i leader repubblicani e la democratica Hillary Clinton - tutti in corsa per le elezioni dell’anno prossimo - i quali chiedono di fare di più in Siraq e non esitano a pronunciare quella formula che non prende in considerazione il governo di Baghdad: “boots on the ground” che in italiano significa scarponi sul terreno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.