Al Jazeera ci fa la morale: "Stop alla parola migranti"

La tv di Doha: "La parola migrante toglie la voce a gente che soffre". Peccato che il Qatar sia uno dei massimi finanziatori dell'Isis

Al Jazeera ci fa la morale: "Stop alla parola migranti"

Adesso i giornalisti arabi vogliono pure darci lezione di accoglienza. Con migliaia di persone alla deriva nel canale di Sicilia o ammassate alla frontiera con la Macedonia Al Jazeera ha abbandonato l’uso della parola "migrante" per riferirsi a quanti rischiano la vita per raggiungere l’Europa. La decisione è stata presa, "per ragioni di accuratezza", dal direttore delle news Salah Negm. La rete del Qatar, Paese che più volte è stato accusato di finanziare il fondamentalismo islamico e, in particolar modo, il Califfato nero che sta seminando morti e terrore in Siria e Iraq, utilizzerà preferibilmente il termine refugee (profugo) per non offendere le migliaia di clandestini che invadono l'Europa.

La spiegazione è sul sito online della tivù di Doha. "La parola 'migrante' è diventata un ombrello molto poco accurato per definire le complessità di questa storia", un termine "peggiorativo" che "allontana e priva della sua umanità" la persona a cui è affibbiato "trasformando in numeri un individuo come te e come me, pieno di pensieri, di storie e di speranze". Non è una distinzione da poco. A differenza del rifugiato, un "migrante" non è un perseguitato nel proprio paese e può far ritorno a casa in condizioni di sicurezza. La condizione del profugo è definita dalla convenzione di Ginevra del 1951, un trattato delle Nazioni Unite firmato da 147 paesi, che apre la strada al riconoscimento dell’asilo: parla di fuga dal proprio Paese "temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche".

Affidandosi a dati delle Nazioni Unite, secondo cui la stragrande maggioranza di chi rischia la vita in mare lo fa per scappare da una guerra, Al Jazeera afferma che nel Mediterraneo "non esiste una crisi dei 'migranti'". E spiega: "Esiste invece un gran numero di profughi in fuga da inimmaginabili miserie e pericoli e un numero inferiore di gente che cerca di sfuggire a quel tipo di povertà che spinge alcuni alla disperazione". La stragrande maggioranza, ricorda la rete, fugge dalla Siria, dove tra 220 e 300 mila persone sono rimaste uccise in una escalation di violenza. Molti altri vengono da Afghanistan, Iraq, Libia, Eritrea e Somalia, "luoghi da cui usualmente viene concesso asilo". "Migrante - continua la rete qatariota - è una parola che toglie la voce a gente che soffre. Sostituirla con profugo è un un tentativo - un piccolo tentativo - per restituirgliela".

Detto da un'emittente, i cui telespettatori (ben l'81%) sono "sostenitori delle vittorie dello Stato islamico in Siria e in Iraq", fa quantomeno inorridire. Tanto più se si considera che il Qatar, pur facendo parte della coalizione anti Isis, non vieta ai ricchi petrolieri e principi del Paese di finanziare il Califfato e, più in generale il terrorismo islamico. Come ha documentato The New Republic, Doha ha addirittura incoraggiato i finanziamenti individuali ai gruppi radicali invitando nel Paese i suoi affiliati e dirigenti. Per anni uno dei maggiori collettori di denaro è stato Abd al Rahman al Nuaymi: solo nel 2013 avrebbe raccolto oltre 600 milioni di dollari destinati alla Stato islamico.

Come conferma uno studio del Washington Institute per il Vicino Oriente, sono "centinaia di milioni di dollari i versamenti compiuti da facoltosi uomini d’affari in Qatar e Kuwait a favore di al-Nusra e Isis".

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