Libia, contro i tagliagole dell'Isis ​l'Onu tenta la "soluzione politica"

Il Cairo chiede una risposta muscolare. Ma l'Onu tratta politicamente con un Paese in balia di miliziani e terroristi. Sostieni il reportage

Libia, contro i tagliagole dell'Isis ​l'Onu tenta la "soluzione politica"

Contro la follia sanguinaria dei tagliagole dell'Isis l'Onu ha deciso di tentare la "soluzione politica". E l'Italia è già pronta ad assumere un ruolo guida nella cornice dell’iniziativa. Così, mentre l'Egitto continua a martellare i jihadisti dello Stato islamico che in territorio libico commettono atrocità e rilanciano minacce, le Nazioni Unite provano a trattare con un Paese dove governano due differenti esecutivi e dove un centinaio di milizie seminano ogni giorno il terrore.

Il vertice internazionale che si è tenuto ieri a Washington è stato convocato per trovare una linea comune nella lotta all'estremismo islamico. Al tavolo siedono oltre sessanta Paesi. La crisi Libica non è esplicitamente al centro dell’evento, ma di certo ne fa parte. Si parla della sfida lanciata dallo Stato islamico e da al Qaida all'Occidente. "È una sfida per il mondo intero - ha tuonato il presidente Barack Obama - non solo per l’America". La forza militare non è però sufficiente. Obama lo mette subito in chiaro. È necessario sconfiggere anche la propaganda, contrastare i terroristi che online "fanno il lavaggio del cervello" ai giovani musulmani. E il mondo islamico si deve mobilitare: "Schieratevi nella lotta contro gli estremisti", ha detto il presidente rivolgendosi ai leader musulmani. Ancora una volta, mentre il terrore avanza lasciando a terra decine di morti, l'Onu sembra incartarsi tra cavilli e burocrazia in un dialogo surreale che non porta a nulla.

Il Cairo preme per una risposta muscolare. Dopo i raid aerei degli ultimi giorni, le forze egiziane hanno compiuto anche un’incursione via terra, fino a Derna. Secondo alcune fonti, avrebbero ucciso 155 combattenti dell’Isis e ne avrebbero catturati altri 55. E all’Onu il governo egiziano insiste affinché venga quantomeno revocato l’embargo sulle armi per il governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale, cioè quello costretto ad operare da Tobruk dal momento che a Tripoli la fa da padrone un governo "parallelo" formato dalle milizie islamiche. Una richiesta avanzata anche dallo stesso governo, tramite il ministro degli esteri Mohammad al Dairi. L’orientamento del Palazzo di Vetro sembra però diverso. Al momento la prospettiva più concreta sembra quella che prevede di concedere altro tempo al mediatore dell’Onu Bernardino Leon, considerato che un intervento militare internazionale, o anche la fornitura di altre armi a una sola delle parti in conflitto allontanerebbe la possibilità di una "soluzione politica".

L'Egitto non rinuncia però ad aprire gli occhi all'Europa. "C’è il rischio che barconi pieni di terroristi arrivino sulle coste italiane", ha avvertito l’ambasciatore egiziano a Londra, Nasser Kamel. L'allerta è altissima. Il premier libico Abdallah al Thani ha a sua volta affermato che membri dell’Isis e di Boko Haram hanno raggiunto o stanno raggiungendo i gruppi terroristici in Libia, che a loro volta si starebbero avvicinando al confine con la Tunisia.

Una figura di spicco dello Stato islamico in Libia, Abu Arhim al-Libim, afferma invece che le milizie del Califfato mirano a infiltrarsi sui barconi di immigrati nel Mediterraneo e attaccare "le compagnie marittime e le navi dei Crociati", almeno stando a dei presunti "piani segreti" contenuti in un documento di cui il think tank anti terrorismo Quilliam di Londra è entrato in possesso. Difficile capire se si tratti di propaganda o strategia. Certo è che, davanti a tanta violenza, rispondere con la soluzione politica sembra sparare con un'arma spuntata.

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