La Commissione europea è l’organo esecutivo dell’Unione, ha dunque il ruolo di qualsiasi governo nazionale. Se però questi ultimi passano, almeno teoricamente, dall’elezione dei cittadini, la Commissione invece no. I cittadini europei si trovano dunque costretti a essere governati da 28 commissari di cui a malapena conoscono volti e curricula. L’incipit dell’iter legislativo è dunque monopolio esclusivo della Commissione europea. La legge, una volta messa nero su bianco, passa al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Ue. Il potere di questi due ultimi organi sulla legge è molto limitato, considerato che il Trattato di Lisbona ha posto innumerevoli cavilli che pongono la funzione dell’Europarlamento in secondo piano. Se dunque l’unico organo rappresentativo della volontà popolare, l’Europarlamento, è de facto escluso dalla procedura legislativa, dove i cittadini possono avere voce in capitolo su essa?
L’Unione europea avrebbe messo a punto un sistema di consultazione che potrebbe mettere in comunicazione organizzazioni di cittadini europei e Commissione, mentre quest’ultima sia nell’atto di redigere una nuova proposta di legge. Il sistema, visibile sul sito ufficiale della Commissione, è chiamato Roadmaps/Inception impact assessments. Sul sito c’è la possibilità di iscriversi all’EU transparency Register che, appunto, permette a organizzazioni o a semplici imprenditori di essere informati/consultati su eventuali decisioni che la Commissione europea ha in cantiere. Nella pagina dedicata all’EU Transaprency Register si legge la seguente: “I cittadini possono, e anzi dovrebbero, aspettarsi che il processo decisionale dell’UE sia il più aperto e trasparente possibile. Più aperto è il processo, più è facile garantire una rappresentanza equilibrata ed evitare pressioni indebite o un accesso illegittimo o privilegiato alle informazioni o ai responsabili delle decisioni. La trasparenza è inoltre un elemento fondamentale per incoraggiare i cittadini europei a partecipare più attivamente alla vita democratica dell’UE”.
Una splendida dichiarazione d’intenti che tuttavia sembrerebbe non avere riscontro nella realtà dei fatti. Si può notare infatti sullo stesso sito come le organizzazioni registrate siano già divise in base alla categoria. La categoria più numerosa è quella dei “lobbisti interni”, che raggiunge le 5.584 unità. Per “lobbisti interni” si intendono i gruppi di pressione composti da personalità di spicco delle principali industrie europee, le principali sono il Transatlantic Business Dialogue e l’Aspen Institute. Tra le categorie più coinvolte dalla Commissione risultano poi le società di consulenza specializzate e gli studi legali, con 1.296 unità, e le organizzazioni non governative, con 2.842 unità. Salta all’occhio come invece le “organizzazioni rappresentative di amministrazioni locali, regionali e comunali, altri enti pubblici o misti ecc.” contino nel registro solo 529 unità. Dunque risulterebbe che i comuni, le amministrazioni locali e le regioni, che sono i luoghi politici più vicini ai cittadini, siano la parte meno coinvolta nell’iniziativa legislativa della Commissione europea. Il problema, in realtà, non è nuovo, anzi è vecchio quasi quanto l’Unione stessa. Nel 1999 il giornalista Paolo Barnard andava in onda, per Report, con un’inchiesta chiamata “I Globalizzatori”.
Nella stessa veniva analizzato proprio il sistema di comunicazione posto in atto dalla Commissione europea per informare i cittadini. Allora si chiamava S.I.S., Services Information Systems, ed era una versione meno avanzata, ma molto simile a quella attuale.
Nello stesso reportage emergeva come i principali interlocutori della Commissione fossero multinazionali e lobbies, mentre sindacati e gruppi di attivisti intervistati non erano nemmeno a conoscenza del sistema. A distanza di diciannove anni il trend sembra non essere cambiato e la priorità della Commissione Ue continua a non essere il parere dei cittadini che dovrebbe rappresentare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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