Il "muro della vergogna": la barriera che a Lima divide i ricchi dai poveri

Gli abitanti delle zone ricche di Lima hanno giustificato negli anni la progressiva espansione del muro appellandosi a ragioni di sicurezza

Il "muro della vergogna": la barriera che a Lima divide i ricchi dai poveri

A Lima, la capitale del Perù, sorge un muro, diretto a separare i quartieri ricchi di La Molina e di Santiago de Surco da quelli abitati dai cittadini meno abbienti e dagli immigrati, ossia i sobborghi di Pamplona Alta, San Juan de Miraflores e Villa María del Triunfo.

Un recente reportage della rivista americana The Atlantic ricostruisce le origini del “muro della vergogna”, la cui costruzione è iniziata nel 1985 e che attualmente è giunto a una lunghezza di 10 chilometri e a un’altezza di tre metri.

L’avvio dei lavori per la realizzazione dello sbarramento, spiega il mensile statunitense, è stato determinato, più di trent’anni fa, principalmente dal massiccio afflusso di sfollati dalle campagne verso la capitale, causato dai brutali scontri tra i governi di allora e i guerriglieri maoisti di Sendero Luminoso. Migliaia di abitanti dell’entroterra peruviano, in fuga dalle violenze dell’esercito e dalle rappresaglie dei ribelli comunisti, decidevano infatti di dirigersi verso Lima con la speranza di un avvenire migliore.

Di conseguenza, nella periferia sud della capitale nazionale iniziavano a sorgere delle baraccopoli di legno compensato e lamiere, che sarebbero divenute sempre più estese fino a raggiungere le dimensioni di veri e propri paesini. Il Comune avrebbe quindi sanato la natura abusiva degli abitati eretti a Pamplona Alta, San Juan de Miraflores e Villa María del Triunfo chiedendo in cambio ai residenti di quelle zone povere, accusa sempre The Atlantic, “favori elettorali” a beneficio dei principali esponenti politici cittadini.

In quegli anni, chi, provenendo dalle campagne, rimediava un alloggio di fortuna nei neonati sobborghi di Lima si avventurava poi nei quartieri benestanti della metropoli per procacciarsi un’occupazione, anche la più umile. I residenti delle baraccopoli iniziavano così a svolgere, alle dipendenze di imprese e famiglie delle zone ricche della città, il mestiere di operaio, tata, addetto alle pulizie, cameriere, tuttofare. Parallelamente all’afflusso degli abitanti della periferia povera verso i distretti urbani agiati, denuncia la rivista, si acuivano però “la paura e il disprezzo” da parte della popolazione di questi ultimi verso i nuovi arrivati.

Gli abitanti di La Molina e di Santiago de Surco, proprietari di ville con superfici che vanno dai mille ai tremila metri quadrati, reagivano allora al crescente arrivo di campesinos in cerca di fortuna iniziando a erigere delle prime barriere di mattoni. Il nucleo originario del muro di separazione tra la periferia e i quartieri chic di Lima venina messo su appunto nel 1985, su iniziativa dei responsabili di un’accademia privata ubicata a Santiago de Surco. Negli anni successivi, tale segmento iniziale sarebbe stato prolungato grazie agli sforzi di sempre più cittadini benestanti, fino a raggiungere l’attuale estensione, pari a 10 chilometri.

I promotori dello sbarramento avrebbero giustificato ai funzionari del Comune la progressiva espansione del primo appellandosi sempre all’esigenza di proteggersi dagli “immigrati criminali” presenti nelle baraccopoli situate nei dintorni dei quartieri ricchi.

Oggi, il “muro della vergogna” è punteggiato da recinzioni e da posti di blocco e i residenti di Pamplona Alta, San Juan de Miraflores e Villa María del Triunfo che devono recarsi nella parte facoltosa di Lima per lavorare sono costretti ad attraversare i checkpoint in questione esibendo i rispettivi documenti e sottoponendosi a perquisizioni che possono durare anche “due ore”.

Nei quartieri tagliati fuori dal benessere della metropoli per via dello sbarramento avviato nel 1985, alla povertà dei Peruviani ammassatisi nelle baraccopoli dopo avere lasciato le campagne del Paese si sta aggiungendo in questi mesi la disperazione dei profughi venezuelani. I residenti della periferia sud della capitale nazionale devono infatti condividere spazio, cibo, acqua e servizi igienici con persone fuggite dalla repubblica bolivariana sull’onda della crisi economica che attanaglia Caracas e delle politiche autoritarie del presidente venezuelano Maduro. Anche questi ultimi, come i campesinos del Perù, si stanziano a poca distanza dal “muro della vergogna” con la speranza di rifarsi una vita una volta oltrepassati i checkpoint che dividono gli edifici ammalorati di San Juan de Miraflores e Villa María del Triunfo dalle mega-ville di La Molina e di Santiago de Surco.

Sempre The Atlantic ha infine registrato una significativa soddisfazione da parte dei residenti delle zone benestanti della metropoli del Paese andino circa

la presenza dello sbarramento lungo 10 chilometri. A detta della rivista americana, gli abitanti delle zone chic assicurano appunto che il crimine “è diminuito” dopo il completamento della barriera divisoria.

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