“Questo è un caso in cui è la storia che fa la politica, non la politica che fa la storia”. Esordisce così, il professor Giulio Tremonti, non appena lo interpelliamo per comprendere ciò che sta accadendo ai confini ucraini.
Professore, partiamo dalla Storia, dunque. Dall’inizio di queste vicende.
Ai tempi dell’Urss, al Cremlino si usava dire: “L’Urss confina con chi vuole”. Era, questa, una formula che combinava la potenza ideologica del comunismo con la potenza militare della Russia. Tra le due, la più forte non era la potenza militare, ma la potenza ideologica: la proiezione quasi globale del comunismo. Per ironia della storia, ancora di recente, un messaggio opposto e parallelo era quello trasmesso dalla Ue: la Ue confina con chi vuole, perché rappresenta un attrattivo e superiore modello di civiltà e di progresso. Oggi, nella disputa sui confini tra Russia e Ue, c’è un vizio bilaterale. E, per capirlo, per correggerlo, non serve molta storia, ma una modica quantità di storia: tre distinte fasi della storia recente.
Quando inizia la prima?
La prima fase va dalla caduta del Muro di Berlino, dalla caduta del comunismo, fino alla fine degli anni Novanta. In questo tempo si sviluppa verso la Russia una pace oggettivamente punitiva: l’addebito delle colpe storiche del comunismo, l’idea che il modello sovietico possa essere sostituito dal modello politico dell’Occidente, export di democrazia e strutture di mercato. In questa fase, e lo ricordo bene, c’erano professori che dalle università occidentali migravano a Mosca e San Pietroburgo per insegnare la democrazia e il mercato. Per la verità, con limitati successi didattici. In parallelo, fuori dal mercato e fuori dalla democrazia, su tutto dominava il flagello degli oligarchi, che privatizzavano in modo certo meno elegante che sul Britannia. Va per contro notato, che a quell’altezza di tempo, dal lato dell’Occidente, quello che si voleva cambiare in Russia era invece tollerato in Cina. Sulla Cina si diceva che era in cammino sulla via dello sviluppo e della democrazia, senza alcun sindacato sulla “cifra” democratica della Cina. Questa è stata la prima fase del rapporto tra Occidente e Russia: pace punitiva e democrazia esportativa.
La seconda fase?
È quella che va dalla fine degli anni Novanta fino alla prima decade del Duemila. È la fase in cui la Russia entra nel G7, che per questo diventa G8. È la fase politicamente più intelligente. Bilateralmente intelligente, sia per l’Occidente che per la Russia. È la fase della politica di Bush e Berlusconi. Erano certo evidenti i limiti “democratici” della Russia, ma da un lato si capiva quanto fosse (e sia) difficile governare nella purezza democratica un Paese che va da Anna Karenina a Gengis Khan, dall’altro lato si cominciava a vedere, per primi segni, un’evoluzione positiva della politica russa.
Cosa c’era di diverso all'epoca?
La visione era quella dell’Europa “dall’Atlantico agli Urali”, già la visione di De Gaulle e di Wojtyla. Ricordo un seminario a Berlino, in cui il vecchio cancelliere Schmidt, parlando della Russia, ci diceva: “Abbiamo la stessa musica, la stessa matematica, la stessa letteratura”.
Che cosa rappresentano questi anni?
Il G7 era il luogo che concentrava la forza del mondo. Circa 700 milioni di persone, con attorno miliardi di persone. Era un corpus, unificato da un codice politico (la democrazia) un codice linguistico (l’inglese) e un codice economico (il dollaro). Bush e Berlusconi fanno entrare la Russia in questo corpus, la fanno sedere attorno allo stesso tavolo. Ricordo che Berlusconi mi correggeva sempre: ‘Ricordati di dire G8’. Questa era la posizione del mondo occidentale, che incorporava la Russia. Questa è la via che si sarebbe dovuto seguire. Attorno al tavolo trovavi America, Europa e Russia, come parte dell’Europa. Trovavi Putin. Io trovavo Kudrin, il ministro del Tesoro russo dell’epoca.
Poi cosa è successo?
Finita questa fase, quella del G8 e di Pratica di Mare, ne inizia una diversa, che concentra la sua criticità nel 2014. La criticità non c’è tanto quando l’Ucraina parla di Nato, quanto piuttosto, ed è l’inizio di tutto, quando l’Ucraina esprime il suo interesse per un “accordo commerciale” con la Ue. Proprio questo è il punto di inizio della crisi. La Russia, non più legittimata dal G8, inizia a temere l’esportazione della democrazia nei suoi confini.
Il punto sembrerebbe dunque l’esportazione della democrazia…
Se uno vuole capire la democrazia nei rapporti internazionali, deve leggere la Carta atlantica, dove la democrazia è un modello positivo e progressivo che si propone, non un modello che si impone. Proprio perché sei democratico capisci che la democrazia si costruisce in loco e non si esporta come fosse una commodity, come fosse un McDonald. Ed è così che si arriva ad oggi. Per dirla con Benedetto Croce, non esistono incidenti della storia, ma solo incapacità di capire i cambiamenti.
Ad esempio?
Se uno vuole avere la prova dell’incapacità di comprendere i cambiamenti, deve leggere il G7 communiqué di Carbis Bay del 13 giugno. L’impressione, se uno legge quel documento dei “grandi” dell’Occidente, è che sia stato scritto da “turisti della storia”. Su un totale di 70 paragrafi e 25 pagine, alla questione della Russia sono stati dedicati solo due piccoli paragrafi, sviluppati su mezza pagina. All’opposto il communiqué è molto più sviluppato sulla gender equality. Se uno lo legge, nota che è tutto sviluppato su una visione palingenetica del mondo - build back better - sviluppato su uno spettro che va dal digitale, al sociale, all’ambientale. Lo stesso “palinsesto” è stato recitato nel G20 di Roma, solo con la variante rituale e propiziatoria delle monete gettate nella fontana di Trevi. A Roma i “grandi” non avevano capito di essere 18 e non 20 - G20 vuole dire appunto 20 - perché mancavano, guarda caso, Cina e Russia. Gli ultimi G7 e G20 vengono dopo la pandemia e pretendono di capitalizzarla nel disegno di un mondo migliore senza averne capito le cause e gli effetti. Come nella Bibbia, la divinità punisce l’uomo che erige la Torre di Babele, togliendogli la lingua unica, così la pandemia ha hackerato il software della globalizzazione. Ha spazzato via il pensiero unico. E’ tornata la storia accompagnata dalla geografia. Dopo aver scritto per venti anni sui limiti della globalizzazione, nel 2016 ho scritto Mundus furiosus. E mi pare che oggi ci siamo.
Esiste un pericolo russo per l’Europa?
È più probabile che ci conquistino i mongoli, che non i russi. In realtà, ci sono stati, e ci sono, errori bilaterali. Nella vecchia diplomazia, si ragionava in termini di partita doppia, di ragioni e di non ragioni, di pro e di contro, anche di dare e di avere.
E’ proprio questa quella che manca: una diplomazia del tipo che si faceva al tempo di Kissinger. Certo, il Putin di oggi non è più quello del G8 e di Pratica di Mare, ma proprio per questo devono comunque prevalere le ragioni della diplomazia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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