Se nella Turchia di Erdogan è vietato persino ascoltare Shakespeare

La nuova linea nazional-islamista del presidente Erdogan porta i teatri pubblici a preferire i testi turchi rispetto alle pièces di Shakespeare o Brecht

Se nella Turchia di Erdogan è vietato persino ascoltare Shakespeare

C'è spazio per il genio immortale di Shakespeare, nella Turchia del 2017? Forse non più come un tempo.

È questo uno degli inquietanti segnali registrati nella Mezzaluna nella corrispondenza di Marco Ansaldo da Istanbul per Repubblica. Un reportage che descrive un Paese diviso fra una maggioranza sempre più indottrinata dall'autoritarismo di governo del presidente Erdogan e il disperato tentativo di resistenza della minoranza cosmopolita e laica che si concentra soprattutto nelle grandi città della Turchia occidentale.

Le ultime riforme istituzionali imposte dal Sultano riducono di molto i poteri del premier e pongono le basi per un governo del presidente almeno fino al 2029, mentre le opposizioni parlamentari vengono decimate dagli arresti e la stampa anti-governativa colpita da continue purghe.

Ma la rivoluzione promossa da Erdogan ormai da almeno quattro anni è soprattutto culturale. Il tradizionale spirito laico della Turchia viene rimpiazzato da una nuova cultura islamico-nazionalista.

Nei teatri pubblici le commedie turche rimpiazzano le rappresentazioni di autori stranieri come Shakespeare e Brecht, mentre il partito di governo cerca di imporre l'ayran (bevanda analcolica a base di yogurt e sale, ndr) come bevanda nazionale a scapito del raki, liquore a base di anice. La figura di Ataturk, padre della Turchia moderna e della costituzione laica che ne pose le basi, non è più intoccabile e anzi è sempre più sostituito dai continui rimandi all'impero ottomano nella comunicazione pubblica e nei programmi scolastici.

L'instabilità politica dovuta ai continui attacchi terroristici e al tentativo fallito di colpo di Stato dello scorso luglio hanno però provocato un avvitamento dell'economia nazionale, in forte difficoltà.

Il turismo è crollato del 30%, mentre la disoccupazione cresce e la lira turca continua a perdere valore. Ma a dispetto dei dati economici negativi Erdogan continua a tenere saldo il timone e anzi si appresta a stringere ancora di più la sua morsa di controllo sul Paese.

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