La Spada e la Fede: Astana capitale del dialogo interreligioso

Al Forum dei Leader religiosi Mondiali di Astana in Kazakhstan, si cerca un antidoto alle guerre di religione

La Spada e la Fede: Astana capitale del dialogo   interreligioso

Tra il 10 e l’11 Giugno, ad Astana, capitale della Repubblica del Kazakhstan si terrà il V Forum Mondiale dei Leader Religiosi. Un vero e proprio “vertice” fra esponenti di primo piano delle diverse Religioni Universali e Tradizionali e, al contempo, leader politici, tant’è vero che, fra gli oltre 500 delegati in arrivo in questi giorni in Kazakhstan, vi sono, per fare solo alcuni esempi, il Presidente del Pontificio Istituto per il Dialogo Interreligioso, il Cardinale Jean-Lousi Tauran – inviato personale di Papa Francesco – il Segretario Generale dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica Iyad Madani, il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon, il Segretario Generale dell’Osce Lamberto Zannier, il re di Giordania – e diretto discendente del Profeta – Abdullah II, il Presidente della Finlandia Sauli Niinisto, quello dell’Etiopia Mulatu Teshome…

Ed è proprio questa, diciamo così, commistione fra esponenti religiosi e politici la prima caratteristica che distingue il Forum di Astana da altre similari iniziative, in primo luogo quegli incontri di Assisi promossi, ormai un quarto di secolo fa, da Giovanni Paolo II. Infatti, senza voler sminuire o discutere gli aspetti più decisamente “spirituali” di questo incontro, è palese che questo Congresso ha, soprattutto, una importante valenza politica, come dimostrano, per altro, gli stessi argomenti dei previsti “panel” di discussione: “Responsabilità dei leader religiosi e politici verso l’Umanità”, “Religione e politica”, “Influenza delle Religioni sui giovani, la cultura, i media, l’istruzione, la scienza”…

D’altra parte, non a caso questo Forum è nato nel 2003 per iniziativa del Presidente del Kazakhstan Nursultan Nazarbayev, quando ancora il mondo aveva negli occhi la tragedia delle Due Torri di New York mentre, dopo l’Afghanistan, stava esplodendo la II Guerra del Golfo. Un periodo nel quale ci si stava destando, in modo estremamente brutale, da quella sorta di sogno della Globalizzazione, la grande illusione della fine anni ’90, l’era di Clinton, quando si volle credere che ci si avviasse verso un panglossiano “migliore dei mondi possibili”. Gli anni in cui, troppo presto e troppo frettolosamente, si celebrava la fine delle ideologie, non rendendosi conto che, alle vecchie ideologie politiche del secolo che si andava chiudendo, se ne andavano sostituendo altre, sempre più nutrite da matrici religiose. Religioni, però, semplificate, tradotte in pochi principi fondamentali e radicali, in modo da gonfiare la marea montante del fanatismo. Religioni trasformate in armi ideologiche con le quali strumentalizzare e organizzare i malesseri profondi di popoli e nazioni che da questo “Meraviglioso Mondo Nuovo” teorizzato dagli apologeti della Globalizzazione, si sentivano, in un modo o in un altro, esclusi. Popoli le cui identità erano sovente state a lungo oppresse, le cui culture tradizionali sradicate nei lunghi anni della Guerra Fredda, e che si trovavano nel caos successivo all’implosione dell’Impero Sovietico.

Era il vento del radicalismo islamico, di quella versione solo apparentemente arcaica, in realtà modernissima della fede musulmana che ha prima nutrito l’Al Qaeda di bin Laden ed oggi innerva ideologicamente il cosiddetto Stato Islamico del Califfo al-Baghdadi e tutta la costellazione di quei movimenti che, dal Maghreb all’Africa sub-sahariana, dallo Yemen al Pakistan, dal Caucaso fino alla lontana Indonesia stanno facendo del jihad il loro primo imperativo. Jihad: guerra di religione, in primo luogo – come ha detto lo stesso al-Baghdadi – interna allo stesso mondo islamico, contro gli “apostati” sciiti guidati dall’Iran, riproposizione dell’antica Fitna che spezzò l’Umma, la Comunità dei Credenti già all’indomani della scomparsa del Profeta, e poi contro tutti i cosiddetti “cattivi musulmani”, ovvero tutti quelli che non aderiscono alle forme radicali del salafismo e del wahabismo. E poi contro l’Occidente “cristiano e pagano”: una guerra spietata destinata a durare – e sono ancora parole del Califfo – “non meno di vent’anni”, e che potrà finire solo con il trionfo delle nere bandiere dell’IS. O, aggiungiamo noi, con il loro annientamento.

Religione ridotta, dunque, ad ideologia, tradotta in pochi, essenziali e radicali, “principi”. Strumentalizzata ad altri fini: fini di potere politico ed economico. E questo non solo nel mondo islamico, visto che anche altrove troviamo sempre più forte questa tendenza di sovrapporre temi e fanatismi religiosi a conflitti sorti per altre ragioni. In India, dove una specie di fondamentalismo induista sta nutrendo un nuovo fanatico nazionalismo; e, per fare solo un altro esempio, in Ucraina, dove il conflitto tra i ribelli filo-russi del Donbas e il governo di Kiev sta sempre più venendo innervato da quello fra greco-cattolici ed ortodossi di obbedienza moscovita.

È, dunque, particolarmente rilevante che questo Forum dei Leader Religiosi Mondiali venga promosso proprio dal Kazakhstan, una giovane repubblica ex-sovietica che costituisce il perno degli equilibri di una regione critica come l’Asia Centrale e che, per di più, è un paese a maggioranza musulmana. Dove, però, sin dall’indipendenza, è stato posto in essere un modello di Costituzione fondata sul principio della coesistenza fra tutte le fedi e sulla tolleranza reciproca. Costituzione che ha permesso al Kazakhstan – un complesso mosaico di 37 religioni, innervate su oltre 120 gruppi etnico-linguistici – di non precipitare, dopo il crollo dell’URSS, nel caos e nella guerra civile, come invece è avvenuto per molte altre Repubbliche ex-sovietiche. E di costruire una nuova identità nazionale comune, fondata sull’unità nella diversità che è stata il veicolo che ha portato il paese in un ventennio ad un notevole sviluppo sociale e civile prima ancora che economico.

Questa V edizione del Forum – che si dovrebbe concludere con una comune “Dichiarazione di Astana” – si svolge, per altro, in un momento estremamente critico, con il recente G7 che si è dimostrato ancora una volta incapace di affrontare la minaccia dell’avanzata dello Stato Islamico in Medio Oriente, le crisi in Libia, nell’Africa sub-sahariana e nello Yemen e, non ultima, la guerra in Ucraina. E mentre gli stessi Balcani minacciano, come dimostrano i recenti eventi in Macedonia, di esplodere ancora una volta, demolendo definitivamente le torpide illusioni dell’Europa a guida, si fa per dire, tedesca. Minacce che proprio Papa Francesco, nel suo ultimo discorso di Sarajevo, ha evocato e paventato.

Invitando tutti a riscoprire il valore unificante e pacificante della fede, e a non fare delle religioni strumenti di guerra e distruzione. Che è poi lo stesso tema su cui si rifletterà, nei prossimi due giorni, nella capitale del Kazakhstan.

Andrea Marcigliano
Senior fellow del think tank “Il Nodo di Gordio”
www.NododiGordio.org

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