Una vittoria già scritta quella che hanno incassato oggi i socialdemocratici di Stefan Lofven. Dopo otto anni tornano a guidare la Svezia strappando il governo alla variegata alleanza di centrodestra del premier Fredrik Reinfledt. Per nulla scontato il successo dell'estrema destra di Jimmie Akesson che, accreditata di un 5,7% dei consensi alla vigilia, diventa la terza formazione politica svedese con oltre il 10% dei voti.
Se da una parte l'expolit dell'estrema destra atterrisce i partiti tradizionali, dall'altra la vittoria risicata dei socialdemocratici porta il Paese simbolo delle grandi socialdemocrazie nordiche verso scenari di ingovernabilità o compromessi dettati dalla necessità di formare grandi coalizioni. Nessuna delle due alleanze dispone, infatti, dei numeri necessari per governare. Se infatti l'ex sindacalista metallurgico Lofven potrà contare su un bottino del 44,9% per la coalizione che mette insieme socialdemocratici, Verdi e sinistra, con la sua Alleanza Reinfeldt non va oltre il 39,3%. Niente maggioranza qualificata, dunque. Da qui la necessità di formare un governo di minoranza la cui vita, secondo molti osservatori, non brillerebbe per longevità.
Gli svedesi hanno certamente deciso di cambiare verso licenziando Reifeldt che in otto anni non ha, a detta di tutti, malgovernato, ma le cui scelte soprattutto in tema di giustizia sociale, welfare e accoglienza degli immigrati hanno spesso cozzato con il sentire comune di chi ha sempre propugnato una democrazia sociale ed egualitaria. A Reinfeldt è stato spesso rimproverato di aver approfondito il solco tra ricchi e poveri, di essere stato rigido sui temi dell'immigrazione, di aver ridotto la scuola pubblica uno dei fanalini di coda dell'istruzione europea, privilegiando quella privata, e dunque il reddito a scapito della formazione.
Sebbene in misura minore rispetto al resto del continente, la Svezia ha risentito della crisi economica subendo un alto livello di disoccupazione giovanile e l'acuirsi delle tensioni nelle zone meno opulente del paese, periferie delle grandi città in primis. A raccogliere l'eredità di Reinfeldt c'è dunque quello che è già stato definito come "il futuro premier meno votato della storia svedese", quel Lofven dalla corporatura robusta e dall'eloquio non proprio trascinante che non è mai stato eletto in parlamento e non ha mai ricoperto cariche politiche. Quel Lofven che con ogni probabilità non potrà contare nemmeno su un seggio del partito di iniziativa femminista, che avrebbe fallito il tentativo di entrare al Rikstad. Quel Lofven che ha comunque convinto promettendo di colmare i divari, di aumentare le tasse ai più abbienti, diminuendole ai ceti disagiati, e di esercitare la politica dell'accoglienza.
Akesson entra a gamba tesa nel teatro politico di Stoccolma. I Democratici Svedesi sono un partito anti-europeo e anti-immigrazione che affonda le proprie radici nell'estrema destra tanto simile allo UK Independence Party di Nigel Farage o del Front National di Marine Le Pen.
Già alle elezioni del 2010 Akesson aveva colto uno straordinario successo conquistando il 5,75% dei suffragi e venti parlamentari. Seggi che oggi ha raddoppiato. Da domani si comincerà a capire se Akesson si proporrà anche come il nuovo ago della bilancia della politica svedese o continuerà a propugnare quell'equidistanza tante volte ribadita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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