La Tunisia dai gelsomini alla svolta laica

La Tunisia è stato il Paese che ha inaugurato la stagione delle Primavere arabe. Ora ne raccoglie i frutti

La Tunisia dai gelsomini alla svolta laica

Protagonista della Rivoluzione dei gelsomini, la Tunisia è stato il Paese che ha inaugurato la stagione delle Primavere arabe, riuscendo a compiere una transizione culminata con la "svolta laica" delle presidenziali di fine 2014 e l’approvazione di una Costituzione considerata fra le più moderne del mondo arabo. Un processo caratterizzato da luci e ombre, specie a causa dell’incubo terrorismo che ha registrato un preoccupante aumento negli ultimi anni.

Dal 17 dicembre 2010, quando il fruttivendolo Mohamed Bouazizi si diede fuoco a Sidi Bouzid, accendendo la miccia delle rivolte arabe, la Tunisia ha seguito un percorso travagliato e costantemente segnato dalla contrapposizione fra "anim" laica e islamica del Paese. Dopo la defenestrazione del dittatore Zine El Abidine Ben Ali nel 2011, il Paese è stato governato per tre anni dagli islamisti di Ennahdha. La svolta è arrivata nel dicembre 2014 quando l’88enne Beji Caid Essebsi, esponente del fronte laico, ha sconfitto il rivale Moncef Marzouki, alleato degli islamisti. La vittoria è stata accolta con grande entusiasmo dagli osservatori occidentali. La Francia, ad esempio, ha parlato di "ruolo storico della Tunisia" e di "pietra miliare" posta dal voto presidenziale, il primo realmente democratico dall’indipendenza del 1956. E l’Economist ha incoronato la Tunsia "paese dell’anno", sottolineando la "splendida eccezione" in una regione dove "l’idealismo generato dallo scoppio della Primavera araba è, nella maggior parte dei casi, sfociato nel sangue e nell’estremismo".

Il processo è culminato nell’approvazione della nuova Costituzione, considerata fra le più moderne del mondo arabo, dove viene sancita l’uguaglianza fra uomini e donne, anche se l’Islam continua a rimanere religione nazionale. E nel governo di coalizione fra laici e islamici nato nel febbraio scorso e guidato da Habib Essid, già uomo delle istituzioni sotto il regime dell’ex rais Ben Ali. Forse proprio in virtù di Paese "modello" delle transizioni in nord Africa, la Tunisia ha tuttavia registrato un forte aumento dei fenomeni terroristici, complice anche la particolare posizione geografica che la vede a cavallo fra la Libia e l’Algeria in quella che ormai viene considerata una "zona franca" per gli jihadisti. Dalla caduta di Ben Ali, inoltre, molti equilibri relativi all’apparato di sicurezza del Paese sono saltati, consentendo ampi spazi di manovra ai gruppi eversivi. Dalla Rivoluzione dei gelsomini, si ritiene che più di 3mila giovani siano andati in Iraq e Siria per combattere a fianco degli jihadisti. Ma è soprattutto all’interno del Paese che il terrorismo ha ripreso a colpire. Poche ore prima dell’attacco al Bardo, il ministero dell’Interno aveva annunciato di aver sgominato una cellula jihadista nella periferia nord di Tunisi. A febbraio le autorità avevano annunciato la cattura di 32 islamisti che pianificavano "attacchi spettacolari" contro "infrastrutture vitali" del Paese, compresi edifici civili.

A ottobre, nel governatorato di Sidi Bouzid, era stato catturato al Khatib al Idrissy, ritenuto il capo del salafismo jihadista tunisino e cervello di Ansar al-Sharia, gruppo dichiarato fuorilegge. Dopo il blitz al museo, il premier Essid ha ricordato che nelle operazioni antiterrorismo sono già state arrestate 400 persone.

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