"Monolocale" di lamiera supermarket per hashish, coca ed eroina

De Corato: «È inaccettabile, ma le ruspe sono pronte Tra poche settimane quella baracca sarà abbattuta»

Il nuovo quartier generale dello spaccio sui Navigli è una capanna di lamiera costruita nella Darsena. I residenti della zona lo definiscono il «monolocale». Sorge all’interno del cantiere per il parcheggio interrato, sulla sponda che costeggia viale Gabriele D’Annunzio. Qui gli autonomi dei centri sociali si nascondono da occhi indiscreti. Si incontrano, bevono, fumano e fanno affari. Di giorno e di sera il via vai è continuo. Perché oltre le lamiere, i cartoni e i materassi che fanno da perimetro all’edificio abusivo, c’è il supermercato della droga.
Ci si trova di tutto: hashish, cocaina, pasticche ed eroina. Come del resto testimoniano le tracce che i «clienti» lasciano ovunque. Fra le montagne di rifiuti che da anni si accumulano fra vegetazione e acquitrini, infatti, ogni giorno vengono abbandonate decine di siringhe. Camminare lungo i bordi del cantiere e non schiacciarle è quasi un’impresa. «In quella capanna succede di tutto - afferma il vicesindaco e assessore alla Sicurezza, Riccardo De Corato -. Ci sono delinquenti che si ubriacano, fumano spinelli e spacciano droghe di ogni tipo. Abbiamo intenzione di abbatterla entro poche settimane. In questi giorni stiamo affrontando altre emergenze legate alla presenza dei rom in città. Ma le ruspe sono già pronte per entrare in azione».
La baracca è sorta nelle prime settimane di agosto. Subito dopo l’abbattimento del centro sociale «Approdo Caronte» - meglio noto come Kasotto - che gli autonomi del Ticinese avevano costruito nel 2002 all’interno della Darsena. E che da quel momento si era trasformato in una zona franca a disposizione di punkabbestia e militanti dei centri sociali. «Appena abbiamo demolito quell’edificio i ragazzi che facevano baldoria lì si sono costruiti un nuovo rifugio - continua De Corato -. Si tratta delle stesse persone, gente che non sarebbe accettata neanche in un centro sociale». E che non ci sta a perdere la propria privacy, protetta com’è dall’abbandono e dal degrado che ormai fanno da cornice al porticciolo dei Navigli. Il cantiere, fermo da anni, è parzialmente recintato. Il cancello di ingresso finalmente è stato chiuso con una grossa catena. Ma lungo il perimetro ci sono molti punti di accesso aperti e protetti soltanto da una transenna. È proprio da qui che i frequentatori del «monolocale» raggiungono i pusher. Percorrono pochi metri nel fango, superano una montagnetta di terriccio e incontrano la capanna. Le pareti sono di lamiera, cartone e materassi fatiscenti. Come il tetto, parzialmente scoperto per permettere alla sentinella di turno di controllare il passaggio. Apparentemente la baracca è disabitata. Anche se all’esterno ci sono un mobile, due sedie, una scopa e un cassonetto per la spazzatura colmo di sacchetti. Ma se decidi di passare di lì, e non sei un cliente abituale, una voce minacciosa ti richiama immediatamente all’ordine: «Chi siete, cosa volete?», ti chiede. E poi, «è inutile che camminate qua, il passaggio è chiuso. Tornate indietro». Se ti conosce, invece, la voce ti invita a entrare. Lo fa decine di volte al giorno, tutte le volte che il cliente di turno si avventura nel fango per comprare un po’ di roba.
I residenti della zona, alle prese con tutti i problemi del cantiere, lanciano un grido di allarme. «Prima il centro sociale, ora questa baracca - si lamenta la portinaia del civico 9 di viale Gorizia -, siamo completamente lasciati a noi stessi.

Da quando c’è questa capanna vediamo persone poco raccomandabili scendere nel cantiere. Sappiamo che c’è gente che la usa per dormire. Ma di sera e durante la notte ci spacciano la droga. La situazione è insostenibile».

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