«La montagna non fa sconti»

(...) Eppure, quando si presentava ammantato di neve ben ramponabile, sferzato dal vento teso, con una temperatura di parecchi gradi sotto lo zero, eppure, allora - adesso? -, pareva di arrampicare su una cosa seria. «Un momento: ma questa è, una cosa seria!» m’ha fatto capire quel ramo di quercia di Gianni Pastine, istruttore nazionale di scialpinismo e mio maestro di montagna, che ha già virato tre volte i vent’anni, è gagliardo come sempre, e queste zone le conosce e le ama come si conosce e si ama la Natura senza illudersi mai di vincerla. Difatti. «Un montarozzo? Ma ti sei mai trovato qui quando cala la nebbia, e vengono i brividi anche se ti sei fatto un paio abbondante di grappini?». In sostanza: se splende il sole e l’aria è appena appena frizzante, qui ti senti di progredire come se salissi i gradini di una scala, te la senti di rischiare anche un passaggio atletico, sicuro che la gamba non cede e la crosta ghiacciata è più che sufficiente.
«Se però cambiano le condizioni, è tutta un’altra storia» aggiunge il Pastine, uno che alla montagna potrebbe dare del «tu» e invece continua a darle del «voi». L’ho visto quest’estate, sulla ferrata del Sass Rigais, il tremila delle Odle: ci vanno in tanti, a volte in troppi, senza imbracatura, cordini e moschettoni. In compenso hanno addosso l’ultimo modello, marca «cime tempestose». Fighetti fino a duecento passi dopo la funivia. Subito dopo, li sorpassa il Pastine che usa il cordino doppio, non sgancia uno se non ha agganciato l’altro. E sale, e rispetta sempre neve, ghiaccio e roccia, e rispetta la pellaccia sua e dei bravi volontari del soccorso alpino che così possono starsene tranquilli in rifugio.
È un po’ quello che mi hanno ripetuto Walter, di Bergamo, classe 1930, e Reinhold, di Funes, 1944, due monumenti dell’alpinismo, che più di una volta, quando era il caso, hanno deciso «che non era il caso». Di continuare. Anche di fronte a quei monoliti che, per loro, potevano essere degradati a montarozzi.
In Liguria ce ne sono tanti, di questi panettoni. Facili finché non s’incavolano: come il Beigua, dove è meglio non avventurarsi in pantaloncini corti e maglietta, neanche per darci un’occhiata. O il Penna e il Pennino, a due passi dall’Aiona, dove, per un mese all’anno, regge il ghiaccio di un canalino e a ogni centimetro ti trovi a pattinare sui 55 gradi di pendenza. E poi il Carmo, l’Antola, le montagne dei genovesi, delle gite fuori porta. Ma com’è che, sulla via della cima c’è quel posto che chiamano «Le tre Croci» e ti serve da segnavia? Non è leggenda, è Montagna con la M maiuscola, che qualche volta, appunto, si incavola e punisce gli incoscienti.
«Non si può mai prendere sottogamba, la montagna - mi ammoniva Kurt Diemberger, al “base“ della Reina e del Tairona -, sia che tu abbia davanti l’Everest, sia che tu vada a conquistare il “tuo“ Everest. Che magari sarà più basso, ma se lo rispetti ti farà vedere e capire un sacco di belle cose».


Subito dopo, mi ricordo, si è infilato lo zaino, e - lui, che ha vissuto tanti giorni grandi in vetta - ha preso la picca, e s’è incamminato verso la cresta che aveva l’aria sinistra di una lama. Avanzava a testa bassa, Kurt. Quasi per scusarsi di lasciare l’impronta sulla neve.

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