Moretti: «Prodi? Non dico se lo voterò»

Il regista: i girotondi hanno risvegliato leader storditi, ma era un altro periodo. Perché alla fine decidono sempre i partiti

Paolo Brusorio

da Milano

Fuori. «Toh, il Caimano... Oh, signür». La signora che trascina la sportina a rotelle ha appena fatto la spesa al mercato rionale. È sabato mattina a Milano, dal furgone elettorale della Margherita posteggiato all’angolo escono le note di Cara democrazia, parole e musica di Ivano Fossati.
Dentro. Dalle dieci, seicento persone gremiscono due sale dell’Anteo, culla radical chic metropolitana, per la matinèe più impegnata e monopartisan della stagione. Tra loro Ottavia Piccolo, aficionada girotondina, e Ilda Boccassini, pm del processo Sme contro Berlusconi. Si proietta il Caimano e alla fine è previsto l’arrivo di Nanni Moretti. Insomma: seguirà dibattito. Se giovedì sera al Sacher c’è stato il battesimo davanti a parenti e amici con tanto di pasticcini e pizzette per il primo vagito, con la tappa milanese Moretti comincia a portare in giro la creatura. Una passeggiata, la sua, insolitamente pubblica. Milano, Napoli, Torino, Udine, notti bianche e mattinate. «Questa volta ha deciso così, due ospitate in tv - da Fabio Fazio ieri sera in uno show giocato tutto sul nonsense («Il mio film? Parla della situazione in Germania») e da Serena Dandini il due aprile - e tanto pubblico dal vivo», dicono sorpresi nel suo staff.
Allora si può cominciare. È mezzogiorno, titoli di coda e applausi, poi compare lui. «Presenta» Michele Serra, penna di Repubblica e tra gli autori di Che tempo che fa. Tranne Orlando e la Buy ci sono tutti: il produttore Barbagallo, gli sceneggiatori Piccolo e Pontremoli, Elio de Capitani (il Berlusconi immaginato), la dolcissima Jasmine Trinca (la regista del film nel film) e poi Nanni. Perché è così che lo chiamano. Anche qui. In fondo se lo possono permettere: fu Milano ad ospitare il primo girotondo, intorno a Palazzo di giustizia; fu sempre Milano a riportare in piazza, quella volta guidati da Moretti (era il 26 gennaio del 2003, il giorno del funerale di Gianni Agnelli), i movimenti che «circondarono» il Pirellone, sede della Regione Lombardia. Quei tempi: «Quando i leader del centrosinistra erano storditi e i loro elettori molto più reattivi».
Ma i morettiani sono in piena trance agonistica, due ore di Caimano non sono bastate: satolli di antiberlusconismo, gli occhi ancora lucidi per aver visto fallire il matrimonio tra Orlando e la Buy, sono ancora affamati. Moretti sul palco è la loro epifania. E lui non si tira indietro. «Avevo già deciso di interpretare io il Caimano, ho pensato che la mia partecipazione avrebbe potuto dare qualcosa di più al film. Poteva diventare un film di barzellette, il materiale non mancava, ma ho cercato l’aspetto drammatico». Barbagallo racconta di quanto siano stati decisivi i soldi francesi per il film, «ma abbiamo lavorato in totale libertà, con serenità e consapevolezza», tanto per togliere alla platea un osso da mordere, quello del regime e dell’autonomia condizionata. Prende il microfono Moretti: «Tranne che Il Portaborse, la Rai ha sempre coprodotto i nostri film. Questa volta no, volevamo essere più liberi. Abbiamo fatto una scommessa, ma avevamo un buon cavallo su cui puntare».
Applausi. Il nemico viene più evocato che citato, qui dentro non vola una mosca berlusconiana, ma dare per battuto il nemico è un azzardo, meglio non rischiare. La platea è uno zucchero filato. Un tonno che si taglia con un grissino. C’è la pentita di Forza Italia, «e spero che il suo film faccia cambiare idea a molta altra gente». Moretti la guarda, poi le risponde: «Grazie, ma non ho fatto un film per questo scopo. La propaganda non mi interessa. Io, poi, che ho sempre preso in giro la sinistra... Un film non deve far cambiare il voto ai cittadini. Quando ho voluto impegnarmi in politica ho accantonato il mio lavoro e ci ho messo la faccia».
Ecco, ci siamo. Moretti parla delle macerie lasciate da Berlusconi («culturali, istituzionali, politiche: c’è un Paese diviso in due»), della necessità di ritrovare valori democratici comuni, di un governo che «mi fa tenerezza se con una maggioranza simile ha paura di un film» (gioca di sponda Barbagallo: «E la reazione del centrosinistra al Caimano è delirante e manicomiale») ma, nonostante gli sforzi, lascia il fianco scoperto quando si evocano ardori e furori girotondini. «Con questi dirigenti non vinceremo mai», urlò al microfono di piazza Navona in quel pomeriggio di febbraio del 2002 parlando davanti ai leader del centrosinistra appena mandati al tappeto da Berlusconi. Ma quei dirigenti (Fassino, D’Alema, Rutelli) sono ancora lì. A loro si è aggiunto, per guidarli, Prodi. E i girotondi: cascati tutti giù per terra? «In quel periodo i leader dell’Ulivo erano storditi, gli elettori si dimostrarono più reattivi di loro. È stata una stagione eccezionale e utile, ma alla fine le fila le tirano sempre i partiti. Per i movimenti è una frustrazione inevitabile, a meno di non voler fondare un altro partitino. E non era il nostro caso». Quindi va bene Prodi? «Sì, va bene Prodi», dirà alla fine Moretti. Dopo quasi due ore di dibattito («andiamo avanti, siamo nella città del Caimano»), la promessa di fare una commedia («dirò tutto subito, anche il finale»), un’infornata di tv, due spremute, acqua minerale, due fette di torta salata.

«Per chi voto? L’ho sempre detto, ma questa volta non mi va, c’è un clima troppo avvelenato. Ora basta, però, ho bisogno di mangiare qualcosa». Fuori Milano ha cambiato pagina: via le signore con la spesa, al loro posto ragazzini gellati pronti per la disco del pomeriggio.

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