I «quattro ordigni» - piazzati tra le inferriate e il doppio vetro di una porta finestra che dà sulla strada e conduce in una stanza del seminterrato - di cui parlava la telefonata anonima di rivendicazione giunta ieri pomeriggio al nostro quotidiano, sono quattro piccoli tubi pieni di polvere pirica fatti esplodere (in realtà ne sarebbe scoppiato solo uno, ndr) un minuto dopo luna della notte tra sabato e domenica in via Passo Pordoi, davanti allingresso laterale (riservato agli uomini) della moschea e centro culturale islamico di via Quaranta, in zona Ripamonti. Un luogo noto per la tanto criticata scuola islamica e perché, lì accanto, il 17 febbraio 2003 venne sequestrato dalla Cia limam Hassan Mustafa Osama Nasr, meglio noto come Abu Omar. In realtà quella dellaltra notte è stata unesplosione molto modesta, che ha danneggiato solo leggermente lingresso laterale della moschea, riuscendo appena a scheggiare un vetro e a segnare una paratia di plastica trasparente. I residenti della zona, infatti, sembrano non essersi quasi accorti della deflagrazione. Tantè che gli investigatori della Digos sono stati chiamati, per accertare natura e dinamica dellattentato, solo intorno alle 13 di ieri: praticamente dodici ore dopo il fatto. «Il frequentatore del centro che ieri mattina, arrivando qui, si è accorto per primo di quanto era accaduto, ha voluto aspettare larrivo del direttore Alì Sharif prima di avere da lui il permesso di lanciare lallarme» spiegano in via Quaranta come se il «ritardo» fosse irrisorio e, comunque, senza importanza.
Mentre la polizia valuta la consistenza dellattentato e della sua rivendicazione (che sembra comunque molto attendibile!) in termini dimportanza è necessario sottolineare che quello di via Quaranta è lottavo gesto di questo genere verificatosi in Lombardia dallaprile scorso. Tutto era iniziato con la bomba molotov nella sede italiana dellassociazione umanitaria «Islamic Relief Italia» di via Amadeo il 15 aprile (lunico rivendicato dal Fronte islamico combattente).
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