Una mostra bella, ma "normalizzata"

Quest'anno la Mostra del cinema di Venezia sembra vivere in un tempo sospeso di aurea mediocritas

Una mostra bella, ma "normalizzata"

Venezia. Figlia di tempi inquieti, dell'austerity, di troppe paure e di imminenti economie domestiche, quest'anno la Mostra del cinema di Venezia - che ormai ha tagliato anche la cena di gala inaugurale - sembra vivere in un tempo sospeso di aurea mediocritas, che significa qualità, ma senza eccellenze; eleganza ma che non diventa glamour; vitalità che però non si trasforma in entusiasmo. È normalizzazione di un evento che, in altri tempi, era speciale. Vinta la corsa con tutti gli altri festival, ora Venezia veleggia sicura, ma a velocità di crociera. Titolo: Calma piatta. Vietato strafare. Siamo a metà festival e tutto finora è stato all'insegna della misura. I film sono tutti belli, nessuno fantastico e nessuno pessimo. In sala non si sono sentiti fischi ma neppure acclamazioni. E persino durante la cerimonia di apertura l'applauso dopo il videomessaggio di Zelensky dall'Ucraina è apparso - come dire? - tiepido. La password di Venezia79 è «compostezza». Non si vedono capolavori e non si registrano flop. Scandali, polemiche, «casi»? Tutto anestetizzato. Finora nessuna scena di sesso o di violenza che abbia scartato dalla normalità cinematografica. Nessuna provocazione, nessuno spiazzamento, nessuna eccitazione. Sarà un caso, ma l'unico film vietato ai minori di 18 anni è nella sezione «Venezia Classici», Thérèse and Isabelle di Radley Metzger, ed era il 1968 E fuori dalle sale è uguale. Feste ordinarie, non straordinarie. Star tante, ma nessun divo, al massimo divismo digitale per Timothée Chalamet. Nessuno si rivela più, tutti intenti a riprendere se stessi. Ormai si è normalizzato anche il red carpet: abiti belli o brutti, ma niente capace di incantare o di turbare. Si seguono diligentemente le mode, non si aprono nuove strade. L'unica vera ansia al Lido è di normalità. Fuori e dentro lo schermo. Tanta sbandierata fluidità, tanti elogi delle differenze, tante battaglie contro i conformismi, e poi l'aspirazione massima, in finale, resta la famiglia. Che strano.

Anche i personaggi finora più disturbanti, i due giovani cannibali del film di Luca Guadagnino (esseri a-normali, qualcosa fra l'alieno e il vampiro, raffigurazione cinematografica perfetta della non-identità) la prima cosa che fanno appena s'innamorano è mettere su un bilocale con veranda: lei bibliotecaria e lui in cucina a fare il ragù. E di sicuro buono. Non ottimo né pessimo.

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