RomaHa ragione Alexandre Dumas: «Non è concepibile Napoli senza San Gennaro». La frase, di per sé, riassume tutto quanto possa dirsi del rapporto della città con il suo patrono. Eppure lo scrittore francese si affretta ad aggiungere: «Ma nemmeno San Gennaro senza Napoli». E la chiosa appare oggi quantomeno necessaria vista la devozione che ha accompagnato i sette secoli del culto di San Gennaro. E visto, soprattutto, il tesoro che di quella devozione è ovviamente il segno più tangibile. In sette secoli di storia sono state decine di migliaia i devoti che hanno affidato alla Deputazione della Cappella di San Gennaro il proprio segno di riconoscenza o di fede. Non solo gente comune, molti regnanti e personaggi di primo piano della scena pubblica hanno voluto ringraziare (o ingraziarsi) il vescovo, decapitato a Pozzuoli il 19 settembre del 305. Ora quel tesoro diventa materia di una mostra che sfrutterà (a partire dal prossimo 8 aprile) ben sette «vetrine» tra le più suggestive del centro storico partenopeo allo scopo non solo di certificare il suo pregio e l’inestimabile valore artistico ma anche l’indissolubile connubio tra il sangue di Napoli e quello del martire della Chiesa. La notizia della mostra, curata dai responsabili del Museo del tesoro di San Gennaro insieme con la Sovrintendenza del Polo Museale napoletano, meriterebbe titoli di tutta evidenza già per il suo valore artistico. A far sensazione, però, è il risultato di una ricerca che ha impegnato negli ultimi tre anni un’equipe di studiosi, gemmologi, periti e storici dell’arte. Il loro luogo di lavoro non erano gli ambienti del Museo o la Cappella di San Gennaro, bensì il caveau del Banco di Napoli. La squadra guidata dal professore Ciro Paolillo (La Sapienza di Roma) ha messo in piedi un vero laboratorio, all’interno dell’istituto di credito, fornito di tutti gli strumenti necessari per indagare le opere e le singole pietre (oltre duemila fra diamanti, rubini, smeraldi, zaffiri, perle). Il risultato finale è sensazionale: il Tesoro di San Gennaro non ha rivali. Gli esperti preferiscono non fornire alcuna stima (forse bisognerebbe girare la stessa domanda agli assicuratori), però fanno capire chiaramente che si tratta di valori «inestimabili», insomma da capogiro. Un tesoro al cui confronto quelli della Corona inglese e dello Zar risulterebbero poca cosa. Non stupisce, quindi, che per lo spostamento delle opere (molte delle quali saranno ammirabili per la prima volta) verrano adottate straordinarie misure di sicurezza: mezzi blindati, guardie armate, sistemi d’allarme sofisticati. Il Centro di Napoli sarà protetto da elicotteri dei Carabinieri.
La «punta di diamante» di questo tesoro sono le cosiddette «Dieci meraviglie» a partire dalla collana secentesca commissionata dalla Deputazione. Secondo gli esperti è la collana più preziosa al mondo (conta 13 maglie di oro massiccio, settecento diamanti, 276 rubini e 92 smeraldi). Le altre «meraviglie» hanno committenti nobili, regnanti e pontefici. Come la mitra in oro, rubini, smeraldi e brillanti (1713) commissionata anch’essa dalla Deputazione della Cappella del Tesoro di San Gennaro.
Tra i donatori anche Ferdinando di Borbone, Gioacchino Murat, Pio IX, Maria Teresa d’Austria e Umberto II.
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