Mussi rifiuta gli appelli e se ne va "I Ds? Compagni che sbagliano"

"Mi fermo qui", dice il ministro dell'Università. Lacrime in platea. Fonderà la Sinistra democratica per il socialismo europeo. Smaltita la commozione annuncia: "Appena vi sarete rotti la testa e tornerete, io ci sarò, mi troverete". Subito parte la sfida per la leadership del Pd, con il duello a distanza tra Veltroni e D'Alema

Mussi rifiuta gli appelli e se ne va 
"I Ds? Compagni che sbagliano"

Firenze - La Quercia è abbattuta, i rami accenderanno falò chissà dove, chissà con chi. Walter Veltroni è lo stregone che invita a portarsi il «fuoco sacro» nel lungo viaggio, in luogo delle statue del Pantheon, «come facevano gli antichi greci». Fabio Mussi si mordicchia il polso, tormenta il baffo, inghiotte emozione. Ha già annunciato dal palco che lui «si ferma qui», insieme con quasi 250 delegati su 1550. Ma come sa toccare le corde Walter, nessuno.Èla personificazione del «vorrei ma non posso» di questo incerto Partito democratico. All’ex dirigente, «uno dei ragazzi di Berlinguer», Veltroni confessa «di aver nutrito sempre grande ammirazione ». Ricorda di quando, giovanissimo cooptato nella segreteria del Pci che stava radiando quelli del manifesto, il piccoletto di Piombino, di fronte a quei mostri sacri dell’ortodossia comunista si fosse erto coraggioso a denunciare l’ingiustizia. «Spero che ci rincontreremo - lo blandisce Walter -, e torneremo assieme ». Quando la commozione sarà smaltita, Mussi torna in sé: «Sì, appena vi siete rotti la testa e tornerete, io ci sarò, mi troverete...», sorride luciferino. Diavolo e acquasanta, ragione e religione. È questo ormai il baratro nel quale sprofonda il partito. Mussi e Angius hanno scelto le ragioni dell’illuminismo contro le suggestioni spiritual. Mussi sa di non potersi concedere l’uscita clamorosa di scena, che nell’impianto del Pci era eresia e come tale punita. Preferisce uscire tra baci, abbracci e arrivederci. Predilige la dignità della ragione contro ogni illusionismo. Lo rivendica all’inizio del discorso, lui che con D’Alema ha una «relazione così da 35 anni…». Così: improntata a sarcasmi antagonisti e scontri di arguzia, diciamo. «D’Alema ha detto: “Spero che Mussi ci risparmi commiatidrammatici…” Seguirò il suo consiglio », comincia. D’Alema corrisponderà, più tardi, definendo il loro rapporto come «quello di due vecchietti che ancora stanno lì a litigare e farsi dispetti». Quando alla fine Mussi scoprirà che in platea tante donne (persino qualche uomo) hanno pianto a dirotto, non si monterà la testa: «Devo aver sbagliato intervento, pensavo di aver mantenuto il filo di razionalità…». Sforzo notevole, visto che quarant’anni e passa di militanza gli piombano addosso non appena giù dal palco: «Ho dovuto raccogliere l’anima da terra», sospira. Da terra raccoglie anche la sinistra socialista, qui ormai giudicata superfluo armamentario. Mussi si fa interprete di quel delegato su quattro che alla modernità «liquida» e indefinita preferisce ancora cercar tartufi nuovi nel solco del socialismo. Al cinismo dalemiano, Mussi oppone il ricordo del congresso di Occhetto così che il segretario sbianchettato venga riabilitato da un lungo applauso. Per Mussi quella trasformazione è stata interrotta prematuramente, e il Pd «è perciò figlio di un fallimento, anche mio», di un partito ormai «giunto al capolinea ». Ma se rinnovarsi è indispensabile, occorre «ricostruire una storia, le radici, l’identità collettiva…». Cancellarne le tracce non si può. Il Pd sposterà l’asse al centro ed eliminerà - unico caso in Europa - la presenza della sinistra e del socialismo in nome di una governabilità senza segno, senza distinzione, dunque incline al potere per il potere. «I partiti formano i governi, non sono i governi che formano i partiti», ricorda Mussi, rigettando la proposta indecente di restare per creare una delle «prevedibili 33 correnti del Pd, visto che ci si sta precipitando dentro senza aver chiarito nulla». Né la posizione europea, né le questioni di fondo della laicità e del modo di concepire la politica. «La fusione è fallita», annuncia Mussi, dopo che Angius aveva messo in rilievo l’inganno: «Come si fa a definirsi aperti, se c’è già un patto definito e chiuso?». Con la Margherita il rapporto è «confuso », visto il prevalere di una «visione vecchia della laicità », con l’influenza della Chiesa al «limite della violazione costituzionale». Un’egemonia dei gruppi dirigenti che cerca di imporre il nuovo partito grazie alla legge elettorale, e intanto «si accapiglia sui leader, sulle sedi, sugli organigrammi ». Angius aspetta di vedere le conclusioni del congresso per decidere il da farsi. Mussi, invece, non si «rassegna» fin da subito. Avverte il «dovere di provare il dialogo sui contenuti con tutte le componenti della sinistra, dobbiamo metterci tutti in discussione, l’ha detto pure Bertinotti». Il movimento si chiamerà «Sinistra democratica per il socialismo europeo» e tra il 28 aprile e il 5 maggio costituirà autonomi gruppi parlamentari (con 13 senatori e 27 deputati il terzo gruppo dell’Unione dopo Ulivo e Rifondazione comunista).

L’ultimo richiamo del «santone» Veltroni non è andato a segno: «Suggestivo, bello - commenterà Mussi -.Maprecocemente ho imparato a distinguere i sogni dalla realtà. Quelli sono sugheri che galleggiano in un mare in tempesta, compagni che sbagliano…».

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