Ha vinto ancora lui, Rafael Nadal. Ha perso Roger Federer: 7-5, 3-6, 7-6, 3-6, 6-2 il risultato che regala allo spagnolo gli Australian Open e il sesto titolo in un torneo del Grande Slam. È una vittoria straordinaria la sua se si considera che in semifinale contro Verdasco «Rafa» era rimasto in campo per 5 ore e 15 minuti battendo il record di lunghezza nella storia degli Australian Open. Per recuperare prima della finale aveva avuto un solo giorno di riposo mentre Federer, dopo aver fatto una passeggiata dall'altra parte del tabellone contro Roddick, si era concesso una vacanza di due giornate. Non so se Roger sia superstizioso ma il 13 gli è risultato fatale. Contro di lui ieri Nadal ha vinto per la tredicesima volta e questa è una sconfitta che inchioda lo svizzero a 13 titoli del Grande Slam, impedendogli di raggiungere Sampras detentore di 14.
La partita come ogni match disputato dai due illustri rivali ha regalato uno spettacolo speciale. A tennis è difficile giocare meglio di così! Da una parte il tocco sublime e ricco di magia del campione svizzero, dall'altra la forza primordiale di un gladiatore della racchetta, di un atleta irrequieto che sul campo sembra morso da una tarantola. Come cornice il pubblico impazzito, più schierato per Federer che per Nadal. La finale è rimasta incerta fino al quinto set anzi, dopo un lieve calo di "Rafa" nella quarta partita, dei due era Roger ad apparire più fresco e più sicuro delle proprie chance. Invece, sul 2-1 del set decisivo in favore di Nadal, Federer ha servito andando letteralmente a pezzi. Tre pallate fuori dal campo e un doppio fallo hanno lasciato scappare lo spagnolo 4-1 e il match si è concluso 6-2.
Pallido, frettoloso, sconvolto da una vicenda troppo grande per lui, Federer è stato incapace di mantenere il controllo. Come se una maledizione lo avesse colpito facendogli cadere addosso tutte le disgrazie del mondo. Ma il peggio è venuto dopo. Quando al centro dello stadio, davanti ai leggendari vincitori del passato Laver, Newcombe, Gimeno, Roche, chiamati sul podio per la premiazione, Roger, il gentiluomo sempre pronto ad elargire sorrisi e a complimentarsi con gli avversari, prendendo in mano il microfono si è messo a piangere. Per non lasciare spazio ad equivoci una impietosa telecamera lo ha subito inquadrato mentre un altro cameraman riprendeva Mirca, la fidanzata e manager, che si copriva la bocca con la mano in un gesto disperato. Quando lo scorso anno al Foro Italico è scoppiata in singhiozzi Alize Cornet, la francesina sconfitta dalla Jankovic, durante la premiazione io l'ho paragonata a Cenerentola. Ma si trattava di una ragazzina fragile messa di fronte ad un compito più grande di sé. Nella storia del tennis degli ultimi 50 anni non mi era mai capitato di assistere a nulla di simile in campo maschile. «Ho lottato fino in fondo, ho dato tutto - ha dichiarato Federer dopo la partita -, adoro questo sport e perdere fa malissimo!». E Nadal, per rincuorarlo: «So come ti senti ora, ma ricorda che sei un grandissimo campione e che supererai il record di Pete Sampras».
In effetti Roger è crollato di colpo commettendo errori irreparabili. Ma nessuno immaginava che a un tipo imperturbabile come lui la sconfitta potesse risultare insopportabile. Era stato più duro da ingoiare l'amaro boccone di Wimbledon quando "Rafa" lo costrinse alla resa 9-7 al quinto. È vero che ci era capitato di vedere Federer piangere di gioia dopo una vittoria, ma è una cosa ben diversa e, secondo me, più giustificata.
La vittoria ti regala un senso di liberazione per cui i nervi cedono mentre quando il tennista difende l'ultimo quindici sul match point, prima di precipitare nel baratro, è psicologicamente preparato a stringere i denti per far buon viso a cattiva sorte. Lo sport dovrebbe essere fatica, gioia e allegria. C'è sempre lo spogliatoio per piangere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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