Non ha parlato del Tibet e non ha citato Liu Xiaobao, il dissidente che ha vinto premio Nobel per la pace. Ma qualcosa Giorgio Napolitano ai dirigenti cinesi, nei due giorni di colloqui, gliela detta. Sui diritti umani ad esempio, che «non possono essere accantonati» e sulle riforme, che devono a andare avanti rafforzando lo Stato di diritto».
Non è tanto forse, ma non è nemmeno poco, considerando lo spirito e la missione della visita del capo dello Stato. É quanto basta per tenere il punto senza perdere la faccia, evitando di rovinare il viaggio con una crisi diplomatica. E così, prima di lasciare Pechino, Napolitano si dichiara soddisfatto. Il presidente Hu Jintao e il primo ministro Wen Jiabao lo hanno accolto, racconta, «con molto calore», e l'Italia «ha trovato amicizia e comprensione». C'è interesse da parte delle autorità cinesi a sviluppare le relazioni con il nostro Paese e «a dare nuova linfa» al partenariato strategico varato nel 2004, riempiendo di contenuti gli importanti accordi firmati il 7 ottobre a Roma fra i due governi. Ora, dice Napolitano, «tocca alle nostre imprese avere iniziativa» e offrire beni e prodotti a più alto contenuto tecnologico, secondo le «giuste aspettative» di Pechino.
Sul piano economico si aprono dunque «possibilità di sviluppo che mai c'erano state prima». Quanto però a realizzarle, spiega il capo dello Stato alla radio cinese di lingua italiana, «dipende molto dalle forze imprenditoriali, da come le imprese italiane e cinesi si muoveranno per entrare in contatto fra loro». Bisogna perciò «sfruttare la complementarietà dei due Paesi e credo che questa sia la strada più virtuosa e più promettente» per cogliere le opportunità offerte dallo sviluppo cinese, che si è rivelato «straordinario, incredibile, intensissimo». L'Italia si deve quindi sforzare di comprendere meglio che cosa in pochi anni ha reso la Cina «un protagonista della vita politica mondiale».
Il piano degli scambi bilaterali è importante: l'Italia è il quindicesimo partner commerciale della Cina, il volume degli scambi nel 2009 è stato di 31 miliardi di dollari, ma ha registrato una flessione del 18% rispetto al 2008, per effetto della crisi economica internazionale che ha stoppato il +27% annuo del quinquennio precedente. E c'è uno sbilancio a nostro sfavore di 15 miliardi di dollari. Colmarlo darebbe fiato alle nostre esportazioni.
Ancora più importanti le relazioni politiche e la collaborazione in tutti i forum internazionali e multilaterali, dove già si registra una grande sintonia. Roma incoraggia Pechino a spendere la sua grande influenza (soprattutto in Asia e Pacifico) per la pace e la sicurezza e per contribuire ad affrontare le grandi sfide. In questo senso, Napolitano trova rassicurante una battuta di Hu Jintao, «siamo tutti sulla stessa barca». Significa che la Repubbica popolare avverte una responsabilità collettiva. E la Cina dallo «sviluppo straordinario» ha ancora molti problemi da risolvere: stato di diritto, diritti umani, liberalizzazione dei mercati, distribuzione più equa delle risorse. La dirigenza cinese ne è consapevole e non lo nega. Bisogna incalzarla, suggerire soluzioni, ma senza dettare le ricette e i tempi.
Anche l'Europa deve fare la sua parte, ha conclude Napolitano, superando «riluttanze anacronistiche» sulla concessione dello status di economia di mercato, e superando ostacoli e titubanze di alcuni Paesi membri rispetto al varo del partenariato strategico.
Nelle prossime ore Napolitano sarà a Shanghai all'Expo e visiterà il Padiglione Italia. Poi, prima di tornare in Italia, farà tappa a Macao e a Hong Kong.
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