La nave dei Messina «silura» il Palazzo di Novi

Ferruccio Repetti

L’incontro ci sarà, e non dovrà essere uno scontro: da una parte il presidente dell’Autorità portuale Giovanni Novi, dall’altra la folta delegazione dei Messina, con i fratelli Gianfranco e Paolo, e la seconda generazione rappresentata da Angelo Gais, Stefano e Ignazio Messina. È stato proprio quest’ultimo, amministratore delegato della società, a confermare l’intenzione di incontrare Novi, ma anche tutte le accuse rivolte al vertice di Palazzo San Giorgio nei giorni scorsi. E anche qualcuna in più: come il fatto di aver tenuto nascosta per un anno e mezzo al gruppo terminalista la bocciatura del riempimento Canepa-Ronco da parte del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, bocciatura del resto ribadita ancora una volta tre giorni fa a tutto danno dell’attività dei Messina. I quali, adesso, dopo anni di «basso profilo di comunicazione» in nome della tradizionale, signorile riservatezza, hanno deciso di cambiare decisamente rotta e puntare diritto al cuore del potere, un potere che, a loro giudizio, li ha danneggiati e continua a danneggiarli.
«Faremo ricorso al Tar - sbotta a questo proposito Ignazio Messina -, ma faremo anche causa all’Autorità portuale. Troppi sono i danni patiti dalla nostra società per i lavori non ancora portati a termine e le sostanziali discriminazioni subite in questi ultimi anni».
Ce n’è per tutti: oltre ai «soliti» avversari - oltre a Novi, l’imprenditore Aldo Spinelli, che loro giudicano in qualche modo privilegiato dal Palazzo, e la Culmv di Paride Batini «che viene immeritatamente indennizzata con 1 milione e settecentomila euro» - le frecce avvelenate di Ignazio e famiglia saettano adesso anche verso l’avvocato professor Sergio Maria Carbone, reo di difendere gli interessi di «tutte le imprese che forniscono servizi tecnico-nautici» e si mettono di traverso ai Messina: «Un palese conflitto di interessi - sottolinea Ignazio Messina, come un fiume in piena -. Noi, invece, quando si decide in comitato portuale di cose che ci riguardano, correttamente ci alziamo e ce ne andiamo». Immediata la replica di Carbone: «Non sono in conflitto, e non accetto lezioni di deontologia professionale».

La guerra dei moli, dunque, si allarga, ma c’è chi dice che forse ha toccato il punto massimo. Da oggi, insiste il presidente degli armatori Nicola Coccia, la rotta giusta deve portare tutti alla stessa banchina: l’intesa. Per non affondare (anche nel ridicolo) guardando le navi che passano al largo.

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