Non è facile definire la libertà. Si tratta della possibilità di votare? Di seguire le nostre inclinazioni? Di fare ciò che vogliamo? Un primo passo per definire questa parola è, senza dubbio, partire dal pensiero: siamo liberi solo se possiamo ragionare liberamente. Secondo Ortega y Gasset, per esempio, ogni società realmente libera dovrebbe accettare anche “idee estreme alle quali riferirsi nella disputa”. Tutto dunque è concesso. Tutto ha cittadinanza ed è solo nello scontro intellettuale - quello vero, non quello dei talk show - che una tesi può vincere sull’altra. Da un po’ di anni a questa parte, però, viviamo una sorta di censura collettiva. La storia fa paura e, non potendo cancellare il passato, si eliminano i monumenti che lo ricordano. Il pensiero fa paura e - non potendo (almeno apparentemente) entrare nella testa degli altri - si vietano parole, e dunque riflessioni, tabù. E non per un buonismo peloso. Ma perché ci si immagina una società diversa. Una cultura diversa. Uomini e donne diverse, come spiega Valerio Savioli nel suo L'Uomo Residuo. Cancel culture, "politicamente corretto", morte dell'Europa (Il Cerchio): "L'obiettivo dello scontro in corso è chiaro: rendere l'uomo solo innescando scontri tra generi, popoli e generazioni che portino alla distruzione di ogni corpo intermediario tra l'individuo e il Potere, privandolo del diritto alla dignità di contestare ciò. Il risultato sarà un uomo privo di identità culturale, religiosa e sessuale. Un essere vivente che vivrà per affogare in bisogni artificiali e scambierà questo effimero momento per libertà. Triste e desolante è il destino di ciò che rimane dell'Uomo, o meglio dell'Uomo Residuo".
Siamo uomini a metà. Restiamo ancorati a ciò che c'è di buono e di giusto, mentre ci scontriamo contro l'onda progressista. Vogliamo essere coraggiosi mentre abbiamo paura di tutto. Ambiamo, più di tutto, ad essere sicuri. "La paura è diventata la lente attraverso la quale si osserva il presente, questa predisposizione tende costantemente a calcolare il quantitativo di rischio in rapporto a ogni singola decisione". Vogliamo essere certi che tutto vada bene. Che sulla nostra strada non incontreremo pericoli. E forse crediamo anche che sia meglio non uscire di casa, come durante la pandemia di Covid-19. "Che succede se mi infetto?", si chiedeva un terrorizzato Giuseppe Conte. È la cultura, sottolinea Savioli, del safetism. Dell'esser sicuri a tutti i costi. Questo termine "compare per la prima volta nell'opera The Coddling of the American Mind di Greg Lukianoff e Jonathan Haidt. Il termine safetism viene usato per denotare una cultura morale in cui gli individui non sono disposti a concedere compromessi rispetto ad altre pratiche morali. Per intenderci, la sicurezza diviene quindi la prerogativa principale. Una ragione essenziale. Le principali minacce alla sicurezza percepite si circoscrivono entro le tematiche di razzismo, sessismo - sul cui contesto si applica generosamente il suffisso 'fobia', concetto di per sé non comprensibile, proprio perché la fobia è considerata dalla stessa psichiatria un disturbo psichico che consiste in una paura angosciosa destata da determinate situazioni - al distanziamento sociale indotto dalle politiche di contenimento per la pandemia".
È per questo che - se non segui il pensiero comune (che rende l'uomo comune) - ti viene appiccicata l'etichetta di omofobo, di zenofobo, e ovviamente anche di retrogrado. E poco importa che tu non lo sia. Il tuo pensiero viene giudicato tale solo perché va controcorrente. E si ostina a farlo.
La marea politicamente corretta sale. Armiamoci di libri come questo per salvarci. Per comprendere ciò che sta accadendo attorno a noi. Per discernere la realtà. Per essere uomini. Veri. Completi. Per riprenderci la nostra integrità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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