Governo, Iss e Cts sapevano che sarebbe scoppiata l’emergenza sui dispositivi di protezione individuale, ma non hanno impedito che il Paese ne regalasse almeno due tonnellate alla Cina. Non solo. Secondo l’ipotesi dei pm di Bergamo che hanno indagato anche su Giuseppe Conte e Roberto Speranza per epidemia colposa, l’esecutivo si sarebbe concentrato sul numero di mascherine e dispositivi da acquistare e utilizzare, anche in ospedale, sottovalutando pericolosamente il rischio che non fossero efficaci.
Nell’informativa c’è un sms che non lascia scampo. Speranza si offre a Silvio Brusaferro di fare una norma che possa convertire mascherine «inadatte alla componente sanitaria». Eccole, le famose «mascherine di comunità» acquistate dal commissario all’Emergenza Domenico Arcuri, senza marchio Ce ma sdoganate in sfregio alle leggi grazie a un’interpretazione del Salva Italia e finite nei supermercati e nelle farmacie, oggi al centro di più di un’inchiesta per le commissioni miliardarie che alcuni faccendieri avrebbero intascato.
La ricostruzione dei pm di Bergamo parte dal 22 gennaio, quando Giovanni Rezza verifica che in Cina il virus è letale, ha un periodo di incubazione fino a 9 giorni e che alcuni pazienti sono asintomatici. Il 23 gennaio 2020 la funzionaria Roberta Marcoaldi scrive a Silvio Brusaferro dell’Iss che l’acquisto di camici è complesso.
Rezza e Brusaferro ne parlano: «Se questa è la situazione forse bisogna preoccuparsi. Chiaramente il tutto resta confidenziale». La situazione precipita presto, nell’ospedale di Alzano un mese dopo gli operatori useranno persino le mascherine dei kit anti-incendio presenti nei reparti. Il 29 gennaio un preoccupatissimo segretario generale del ministero Giuseppe Ruocco lancia un altro allarme. Inascoltato.
Solo il 6 marzo inizia la prima «procedura negoziata per l’acquisto di dispositivi medici per terapia intensiva». Con esiti disastrosi. «Siamo nel caos», è l’allarme che riceve via messaggino la funzionaria dell’Oms Benedetta Allegranzi da Brusaferro il 25 marzo 2020. «Sono terrorizzato da questa cosa delle mascherine», scrive il ministro della Salute commentando la foto delle «mascherine swiffer», quelle in dotazione alla Protezione civile che Angelo Borrelli dirà in conferenza stampa di non indossare «perché non serve». È il 13 marzo, Brusaferro dice che aspetta «l’esito delle prove di efficacia filtrante. Possiamo averne un milione al giorno, senza saremmo in grandissima difficoltà». Intanto i medici muoiono come mosche, «i sindacati sono sul piede di guerra», si scrivono Brusaferro e Speranza, tutti vogliono le Ffp2 che non ci sono, tanto che in molti sono autorizzati a «riutilizzarle». Una procedura «contraria a ogni principio di sicurezza e prevenzione», scrive Andrea Crisanti nella sua relazione. «Facciamoci sempre guidare da evidenze scientifiche», chiede Speranza, che sibila: «Decide l’Oms, non i sindacati». Poi il giorno dopo, scoperto che quelle mascherine sono sostanzialmente inutili Speranza scrive: «Non è materiale per personale sanitario. E neanche Dpi. Sarebbe per cittadini comuni quando escono a fare spesa o altro (...) Volendo potrei anche fare una norma sulla materia».
L’emergenza morde ma tra governo e Cts scoppia pure la guerra di carte bollate sulle mascherine. C’è una chat fra il rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta e il presidente dell’Iss fra il 26 marzo e il 15 maggio 2020 che conferma quanto la burocrazia delle procedure abbia complicato l’approvvigionamento. Eppure le mascherine c’erano. Le aveva previste il piano pandemico, colpevolmente inapplicato.
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