Fosse stato un corteo pro Palestina tout court, sarrebbe stato difficile obiettare: fare il tifo per Gaza anziché per Israele, ritenere Tel Aviv responsabile di genocidio ed evitare come la peste di citare quanto commesso da Hamas il 7 ottobre è discutibile, ma senza dubbio resta legittimo. Come in tutte le democrazie, anche le più strampalate delle idee devono avere cittadinanza. Tuttavia il discorso cambia, e di molto, se a trasformarsi in un inno per la Striscia è il corteo per l’8 marzo, in teoria festa della donna trasformata però in un party pro-Pal che alcune signore le esclude. Solo perché israeliane.
Gli inviati di Quarta Repubblica hanno partecipato a diversi cortei indetti da Non una di meno in giro per l’Italia. A Firenze una ragazza filo-israeliana, con tanto di cartello anti-Hamas, è stata cacciata a male parole. A Milano e Roma è andato in scena uno strano copione. Sia chiaro: non sorprendono i cartelloni con su scritto “fuck the patriarchy”, né i cori contro le violenze maschili o i femminicidi. Fanno parte a pieno del contesto, dedicato alle lotte femministe. Sorprendono invece le bandiere palestinesi, gli inni contro Israele, la vernice rossa rovesciata in favore delle donne di Gaza e non per quelle israeliane.
Perché? Perché dalla narrazione di Non una di meno scompare chi ha subito abusi o violenze? E se l'8 marzo deve essere la festa di tutti, perché escluderne alcune? Perché insomma, la “liberazione” della genere femminile la si conquisterebbe solo schierandosi “al fianco della Palestina che resiste” e non anche con le ebree stuprate?
Quanto emerge dalle interviste registrate dagli inviati di Quarta Repubblica lascia di stucco. Gli abusi del 7 ottobre? “Non ci possiamo fidare di tutti i dati che arrivano - spiega una ragazza - Cito un’inchiesta del New York Times secondo cui alcune donne, che avevano dichiarato di aver subito violenze in realtà sono state pressate da diversi organi di governo israeliano”. E le indagini dell’Onu, che invece confermano gli orrori di Hamas? “Noi ci fidiamo dei dati che arrivano dalle donne palestinesi”, spiega la ragazza. A cui fa eco un’altra attivista femminista con una teoria strampalata secondo cui le violenze sulle israeliane sarebbero la naturale conseguenza dello stato di guerra che da decenni va avanti in Medio Oriente: “Se come popolo ti senti oppresso, anche come uomo ti senti legittimato a compiere le peggiori cose delle donne dell’altro popolo”. Se non è una giustificazione, poco ci manca. E infatti, secondo un’altra signora, presente in piazza a Roma, il 7 ottobre non si è svolto un massacro ma “un’azione” da inquadrare “in una lotta di resistenza”.
Fateci capire: donna israeliana, donna di serie B? Uno stupro è uno stupro, tranne se riguarda elettrici di Netanyahu? “Le
israeliane sono colonizzatrici nei confronti delle donne palestinesi”, sentenzia un ragazzo in piazza. “Una israeliana di solito può essere considerata sionista e una sionista in questo corteo non lo voglio”. Viva l'inclusione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.