Lavoro nero in carcere, condannato il Ministero della Giustizia

Il caso di un detenuto che in carcere lavorava con un contratto sottoforma di volontariato. Il Giudice del Tribunale di Roma ha condannato il Ministero al risarcimento

Lavoro nero in carcere, condannato il Ministero della Giustizia
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A leggere la notizia sembra quasi una fake news, ma la sentenza del Tribunale di Roma ne certifica l'assoluta affidabilitià. È così che si viene a conoscenza che il Ministero della Giustizia, almeno in questo caso, sfrutterebbe il lavoro nero di un detenuto.

Il caso

Ad occuparsi del caso, Marco Tavernese, dello studio Tavernese, che già in passato si è interessato di sostenere i diritti dei detenuti. MC, il nome del loro cliente, durante il periodo di sconto della pena lavorava nel carcere. Si tratta questa di una attività che consente una piena riabilitazione e il reinserimento in società, che poi è la funzione primaria del carcere sancita nella Costituzione. In questi casi alcune mansioni vengono pagate altre no.

Al nostro cliente era stato fatto firmare un foglio, senza data, in cui si dichiarava che una parte importante del suo lavoro era svolto sottoforma di volontariato. Questa dichiarazione era stata corroborata da generiche testimonianze, assunte in maniera irrituale, come riporta la sentenza, di alcune guardie carcerarie. Quindi il Ministero si era rifiutato categoricamente di pagare il dovuto".

La decisione del giudice

L'avvocato dello Studio Tavernese ha poi aggiunto: "Il giudice ci ha dato ragione, riconoscendo che tutto il lavoro andava pagato, che quella dichiarazione non era rilevante e che le testimonianze erano inammissibili. Giustizia qui è stata fatta. Ma ci sono altre migliaia di casi in cui, in virtù della disparità di rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, il Ministero non paga e la fa franca. Ci stiamo attivando per riparare a questi torti. Chi porta il nome della Giustizia nel nome del proprio Ministero non può consentire che queste cose avvengano sotto i propri occhi”.

I diritti dei carcerati

Già nei mesi scorsi lo Studio aveva ottenuto un importante riconoscimento, dalla Corte di Cassazione, sul diritto dei carcerati a termini di prescrizione umani, ovvero quelli calcolati a partire dal fine pena, quando sono liberi, letteralmente, di far valere le proprie ragioni senza rischi di ritorsioni.

E non, come sosteneva il Ministero, dalla fine del singolo “rapporto” (l’equivalente del contratto, solitamente annuale). La strada è ovviamente ancora molto lunga da percorrere, ma oggi con il riconoscimento del lavoro dell'ex detenuto, un grande passo avanti è stato fatto.

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