Le costole rotte e la cravatta dimenticata: chi (e come) ha ucciso Pecorelli?

A 44 anni di distanza dall'omicidio del giornalista Carmine "Mino" Pecorelli, un team di avvocati mette in evidenza due piste che, se percorse nel modo giusto, potrebbero portare a una svolta significativa in uno dei maggiori cold case italiani

Le costole rotte e la cravatta dimenticata: chi (e come) ha ucciso Pecorelli?

Quello dell'omicidio di Carmine "Mino" Pecorelli - avvenuto la sera del 20 marzo 1979, in via Orazio, Roma - è a giusta ragione uno dei misteri d'Italia per eccellenza. Direttore della testata Op [Osservatorio politico, ndr], Mino Pecorelli è stato un giornalista sui generis precursore di un certo tipo di giornalismo che oggi definiremmo "d'inchiesta", ma che negli anni gli è valso l'appellativo - post mortem - di becero ricattatore, salvo una presa di posizione, giusto un paio di anni fa, dell'Fnsi [Federazione nazionale stampa italiana, ndr], che ha invece reso giustizia alla memoria di quello che, piaccia o no, è stato un grande professionista.

Al centro dei più grandi scandali e misteri della Prima repubblica - dal caso Moro allo scandalo Lockheed, da inchieste sulle logge massoniche in Vaticano alla pornografia - Mino Pecorelli è stato ucciso con 4 colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata mentre stava partendo con la sua macchina dopo una giornata di lavoro in redazione. Il primo colpo, simbolico, diretto alla bocca.

Nessuna indagine è mai arrivata a un risultato certo. Anche il cosiddetto "processo del secolo", quello che vide sotto torchio personaggi del calibro di Giulio Andreotti, Claudio Vitalone e Pippo Calò in qualità di mandanti e Massimo Carminati e Angelo La Barbera in qualità di esecutori materiali dell'omicidio, si è risolto in una serie di assoluzioni, lasciando una grande punto interrogativo che perdura ancora oggi.

L'attenzione sul caso si riaccende nel 2019 e il fascicolo, intestato al magistrato della procura di Roma Erminio Amelio, risulta ancora aperto. A distanza di 44 anni dal delitto, è proprio al dottor Amelio che intendono rivolgersi gli avvocati Valter Biscotti e Claudio Ferrazza che, in rappresentanza dei familiari del giornalista ucciso, intendono portare alla sua attenzione due elementi passati sotto traccia ma che, nonostante il tempo trascorso, potrebbero aprire scenari inaspettati.

Grazie anche al lavoro del consulente Gian Paolo Pellizzaro, i due avvocati intendono ripartire dalle basi, ovvero dall'analisi della scena del crimine. "Il delitto Pecorelli - afferma Biscotti, che sulla vicenda ha scritto anche un libro - è stato offuscato dalla caratura dei personaggi coinvolti a vario titolo nel processo. Mafia, servizi segreti, P2... si è parlato di tutto, tranne che della cosa più importante: la scena del crimine, appunto. Per esperienza posso dire che è dai piccoli dettagli che si arriva a una svolta in casi di questo genere, anche a distanza di tanti anni".

E gli elementi da cui ripartire, come già anticipato, sono due: "È indispensabile - afferma l'avvocato Biscotti - una nuova rilettura della dinamica omicidiaria con una nuova consulenza necroscopica balistica. Nonostante anni di processi e indagini non c è spiegazione su alcune ferite presenti sul corpo di Pecorelli". L'avvocato si riferisce alla frattura di quattro costole sul lato sinistro del torace e la frattura delle ossa del naso. Dati registrati agli atti, ma che non trovano una facile spiegazione. Se è vero che Pecorelli venne attinto da 4 proiettili, due dei quali ritrovati incastrati tra la quinta e la seconda costola, non si spiega [o almeno, non viene spiegata] la frattura delle altre due costole, così come non si spiega la frattura del naso, considerando che il primo proiettile gli è stato sparato sulla bocca.

"Un chiarimento su questi aspetti - incalza Valter Biscotti - potrebbe riscrivere completamente i tempi e le modalità dell omicidio". In effetti lesioni di questo tipo fanno pensare a un pestaggio. E considerando il fatto che Mino Pecorelli uscì dalla redazione in compagnia del collaboratore Paolo Patrizi e della collaboratrice, nonché compagna, Franca Mangiavacca, che mai hanno riferito di un pestaggio all'interno della redazione [dove il giornalista si intrattenne per diverse ore con un uomo mai identificato, ndr], l'agguato andrebbe collocato nei pressi del parcheggio in cui aveva lasciato la sua automobile, in via Orazio, la via parallela alla sede della redazione di Op.

Se una nuova perizia acclarasse l'avvenuto pestaggio, la dinamica degli eventi subirebbe una modifica sostanziale per la prima volta da oltre quattro decenni. Ma c'è un secondo elemento sul quale gli avvocati, cui si unisce Giulio Vasaturo, puntano la loro attenzione, confidando sugli enormi progressi raggiunti nell'ambito delle indagini genetiche: "In prossimità del luogo dell'omicidio - ricorda Biscotti - fu rinvenuta una cravatta, che certamente non era di Pecorelli".

Il reperto fu all'epoca analizzato per verificare se vi fossero tracce di frammenti di vetro [i colpi furono esplosi infrangendo il finestrino della macchina lato guida, ndr]. Non essendoci questi frammenti, il reperto finì del dimenticatoio. Oggi, sostengono i legali, quella cravatta andrebbe recuperata tra i corpi di reato (sempre confidando che lì si trovi) e andrebbe sottoposta all'esame del dna, per appurare se sul tessuto vi siano tracce biologiche riferibili a potenziali sospettati.

Sarà con questi due elementi che gli avvocati si recheranno nei prossimi giorni alla procura di Roma, nella speranza che un nuovo impulso possa dare una scossa a delle indagini che, per quanto ne

sappiamo, sono sostanzialmente ferme. Certo sarebbe un gran bel regalo per i figli del giornalista ucciso e, soprattutto, per la sorella Rosita, che da 44 anni si batte con tutte le sue forze per ottenere un briciolo di verità.

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