!["Non c’è differenza fra Dachau e le foibe”](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2025/02/08/1738999239-foibe.jpg?_=1738999239)
"Non c’è differenza fra Dachau e le foibe”. Il padre di Dario Angeli, che ha inviato questa lettera aperta al Giornale, non era ebreo, ma ha aderito alla resistenza (Corpo volontari della libertà - partigiano garibaldino nome di battaglia Vlamo) nel 1944 nelle valli di Faedis in Friuli-Veneiza Giulia. Poi è stato catturato e deportato il 29 settembre 1944 rientrando da Dachau nell’autunno 1945. Dopo la guerra è stato responsabile dell’Anpi di Remanzacco, ma ha sempre pensato che i morti dei lager nazisti e delle foibe devono avare pari dignità.
Fausto Biloslavo
"Non c’è differenza fra Dachau e le foibe”
Dal 27 gennaio al 10 febbraio di ogni anno la nostra amata Italia, cerca di rinnovare rispetto e riflessioni per quei momenti storici drammatici, che la guerra ci ha riservato. Nella mia famiglia purtroppo quei momenti non duravano 14 giorni all'anno ma si ripetevano con grande frequenza nelle tante notti quando mio padre, deportato per dieci mesi nel campo di concentramento di Dachau, si svegliava di soprassalto gridando per aver fatto "un bel" sogno di quei giorni o meglio ancora di quei mesi. Al mattino io e mia madre chiedevamo sempre qualcosa come stava e la risposta era sempre la stessa: il silenzio.
Nelle poche occasioni che mio padre apriva le ferite di quel diario, non di carta, ma di un purtroppo vissuto, non mi ha mai fatto trasparire odio, voglia di vendetta o volontà di non perdonare. Ha sempre ammesso che a 19/20 anni la maggior parte dei protagonisti di chi stava da una parte chi dall'altra non aveva neanche avuto il tempo di capire dove era più giusto stare. Certo, diceva, la storia ha certificato qual era la parte giusta, ma quei ventenni e non solo, sono stati semplicemente carne da macello al servizio di pochi. E per quei morti non ha mai fatto distinzione, sono stati vittime tutti di un momento particolare, avevano tutti dei papà delle mamme delle sorelle e dei fratelli, delle mogli che non li hanno potuti godere.
Certo poi gli interessi di chi vuole che la storia si legga in un certo modo e non per quello che dovrebbe insegnare, hanno prevalso nelle varie occasioni di ricorrenza con i discorsi di chi aggiungeva sempre non la voglia di reciproco perdono, ma la necessaria dose di odio e divisioni portatori questi di voti garantiti.
Infatti siamo ancora oggi divisi sul giorno della memoria e del ricordo, non abbiamo voluto e saputo dedicare a tutti quei morti, senza distinzione, l'unica lezione che la loro vita così tragicamente spezzata ci ha regalato con un deciso, comune impegno affinché ciò non accada più. E nulla abbiamo capito, continuiamo in distinzioni che solo dividono e indeboliscono il comune impegno che dovrebbe invece unirci nel farci provare la grande indignazione su tragedie che assistiamo a tre quattro ore di volo dalla nostra cara Italia.
Ecco che allora per rafforzare quanto sopra, senza alcuna difficoltà, certo che l'insegnamento di mio padre mi conforta e mi porta a dire questo, affermo che non può esistere una distinzione, una differenza tra la bestiale crudeltà del campo di Dachau nei confronti di mio padre e di chi è stato infoibato. Sono tutti semplicemente vittime e la storia se vuole essere maestra per fare sì che tutto questo non possa più succedere non può fare pilotate distinzioni.
Purtroppo per troppo anni le forze politiche hanno consacrato, a loro pro, certi storici, scegliendoli non per la loro conoscenza ma più che altro per la loro appartenenza e il loro prezzolato revisionismo. E noi ignari complici di tutto questo ci consoliamo riempiendoci la bocca con una tipica frase fatta: "un popolo senza memoria non può guardare con speranza al futuro”. Affermazione fantastica, ma nella realtà?
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