"Polverizzano psicofarmaci per pipparseli. Così le carceri sono i nuovi manicomi"

Le denunce degli ex detenuti: "La custodia in carcere ci guadagna a dare psicofarmaci". L'allarme di avvocati e medici

"Polverizzano psicofarmaci per pipparseli. Così le carceri sono i nuovi manicomi"

“In prigione ho assistito a scene che mai avrei pensato di vedere in vita mia. Ho visto donne accumulare, passarsi e polverizzare psicofarmaci, per poi pipparseli. I nuovi manicomi sono le carceri d’Italia, fucine di malati di mente e tossicodipendenti, sedati e blindati col Valium”.

Le parole dell’ex detenuta Micaela Tosato suonano come un antifurto in piena notte. Aprono una breccia, l’ennesima, nella cortina di ferro delle mezze verità che si nascondono dietro alle sbarre. Tra gli usi e abusi della chimica, la domanda torna sempre: il pianeta carcere, abitato da più di 58mila “inquilini”, è veramente colonizzato da ansiolitici e altri prodotti farmaceutici? Prove non ce ne sono. In compenso, però, non mancano le continue stoccate di chi, come la Tosato, non aspetta altro che denunciare. Sciorina uno ad uno malcostumi, cronicità e criticità della prigionia all’italiana: “Di frequente capita che le recluse usino la terapia per sballarsi o per avvalersi del cosiddetto baratto: io ti do tre pasticche e tu in cambio mi dai un pacchetto di sigarette. Fingono di inghiottire le pillole, per poi sputarle subito dopo che gli infermieri girano l’angolo”. E accusa: “Gli addetti ai lavori, non solo lo sanno, ma sono loro stessi ad allungargliene di più quando passano con il carrello”.

L’ex detenuta non si ferma. "Non essendoci una vera e propria area psichiatrica, accade spesso che sistemino i 'matti' con i detenuti comuni”, tuona. “Peccato, però, che un carcerato non è né un badante né tantomeno un assistente. Parliamoci chiaro, se uno di loro dà i numeri, mette in pericolo la vita anche degli altri concellini”, conclude, alludendo agli omicidi in serie che insanguinano le “dimore” di chi ha un conto da pagare con la buona società.

A voler dire la propria su quel simulacro di vita che continua a “vivere in una fatiscente, per non dire inadeguata” condizione fisica artificiale è anche Pierdonato Zito, ex boss della mala di Montescaglioso. Il reo redento, con a curriculum una laurea in sociologia e 30 anni di carcere di cui 8 al 41-bis, fuga (quasi) ogni dubbio: “La custodia in carcere ci guadagna a dare psicofarmaci", racconta, "Quando un carcerato rompe le scatole, l’operatore sanitario non sempre gli fornisce 5 o 10 gocce di ansiolitico, come da prescrizione medica, ma una 'scorzata' di 50, così lo mette a dormire senza che dia più fastidio”. La solfa cambierebbe quando si parla invece di 41-bis e Alta sicurezza. In quei “gironi”, ci tiene a precisare il condannato in regime di semilibertà, ci sono codici diversi: “Lì è rarissimo abusare di psicofarmaci”. E non solo perché si è sottoposti a una sorveglianza più stretta rispetto al regime detentivo comune, ma perché “per un uomo d’onore assumere palliativi, sedativi, è sintomo di fragilità e debolezza”.

Tra i primi ad uscire allo scoperto c’è anche il trilaureato Carmelo Musumeci, primo ex detenuto libero dopo un ergastolano ostativo: “Diciamocelo: un carcerato semiaddormentato nella branda, dà meno fastidio di uno sveglio che pensa”, dice. L’ex boss della Versilia, conosciuto ai più come “la Belva della cella 154”, racconta gli stratagemmi più disparati: “Le scorte di farmaci psicotropi accumulate dai detenuti, vengono nascoste in cella un po’ dappertutto”, svela. “Sotto al materasso, tra due fogli di cartone o persino all’interno di bossoli studiati per essere celati nel retto”.

Quella degli ergastolani, in ogni caso, non è l’unica voce critica che si leva contro i retroscena della sanità intramuraria. A gettare luce su aneddoti e delucidazioni degne di un interrogatorio, è anche l’avvocato veneziano Andrea Franco. Il responsabile e consigliere dell’Associazione nazionale forense (A.N.F.) ne parla proprio a margine dell’ispezione estiva alla casa circondariale di Venezia-Santa Maria Maggiore, condotta dall’avvocatura e dalla camera penale veneziana della quale è membro. Ispezione che sembra aver messo a nudo gravi numeri e dati, tutti di grossa entità, del carcere lagunare, ora sotto osservazione. “A Santa Maria Maggiore il 94 per cento dei carcerati usa psicofarmaci e, 190 reclusi su 196 necessitano di un supporto psicologico che, guarda caso, al momento non c’è. Mi auguro solo che si tratti di un caso isolato”.

A confermare che non lo sia sono le testimonianze dirette di alcune fonti. Come quella di Said Faid, medico penitenziario, che lamenta l’andazzo - “claudicante, per essere generosi” - di San Vittore di Milano. “La situazione negli ultimi mesi è peggiorata”, dice in confidenza, “La verità è che i nostri reclusi, assassini o stupratori che siano, mandano giù psicofarmaci per dimenticare. In carcere si sta male e loro sono esseri umani”.

E, infine, una dichiarazione che suona preghiera: “Sapete cosa significa stare rinchiusi in una cella di nove metri quadri con altre quattro persone di nazionalità diverse, per quasi ventidue ore al giorno? Beh, non lo auguro a nessuno!”.

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