da Cedar Rapids
«È il Paradiso?» si chiede il protagonista redivivo. «No, è l’Iowa» gli rispondono. L’Iowa del film Field of dreams, L’uomo dei sogni. L’hanno girato in un’altra stagione. Se il campo del film lo «piallassero» in questi giorni avrebbero a che fare con una terra dura, gelata e sporca che sotto è tanto fertile ma di sopra è coperta da qualcosa di molto simile al permafrost. Roba da Alaska. E non è lo sport il tema del Ballo delle Debuttanti, la tradizione alquanto surreale che vede convenire, nei mesi più freddi dell’anno, politici e giornalisti, tecnici e curiosi, tifosi del Gioco della Politica. Con conseguenze inevitabilmente singolari, come il moltiplicarsi delle gaffe dei candidati quando sono all’aria aperta.
«Non mi ricorderò della gente dell’Iowa» ha concluso enfaticamente il suo ultimo comizio Mitt Romney ad Altoona, subito corretto da sua moglie: «Mitt voleva dire, naturalmente, che non vi dimenticherà mai». «Erano in trecento ad aspettarmi, all’aperto, congelati letteralmente a morte», ha raccontato Hillary Clinton di Iowa City, parlava al Memorial Coliseum di Cedar Rapids, l’unico monumento di questa città senza alberi o verticalità diverse dai suoi 100 silos gonfi di grano. Nel Coliseum c’è la Finestra dei Veterani: la domina una figura di Donna Eroica con il velo blu del lutto, la destra regge foglie di palma, la sinistra ghirlande di vittoria. La guardano dal basso, nel retro, figure di soldati nelle diverse uniformi di tutte le guerre americane. La «finestra» è stata fabbricata in Germania, ma su un disegno di Grant Wood, il grande pittore del gotico americano, dell’innocenza lugubre di un Midwest che ormai si trova solo nelle sue tele e nel mito. Grant Wood era cresciuto a Cedar Rapids.
Gaffe e scuse, che in un altro posto e in un’altra stagione susciterebbero polemiche e accuse feroci. Ma questo è l’Iowa, i cui abitanti sono sospinti ogni quattro anni sotto il riflettore dell’opinione pubblica americana e mondiale ma il cui interesse per queste cose è tutt’altro che spasmodico. Danno il via alla grande stagione elettorale della Superpotenza, ma a votare ci vanno in pochi, presumibilmente 150mila su 3 milioni di abitanti, il che significa che ogni voto costerà almeno 400 dollari. È colpa, soprattutto, di un sistema elettorale troppo lungo e difficile da capire per gli strateghi dei partiti e figuriamoci dunque da raccontare. Una elezione, per gli americani e per noi, consiste nell’infilare una scheda nell’urna e aspettare che le contino. Nell’Iowa significa passare un’intera giornata in una stanza con concittadini o vicini di casa a discutere chi sia più in gamba fra gli aspiranti alla candidatura democratica o repubblicana per la Casa Bianca. Non ci sono schede, non ci sono urne, non c’è evidentemente il voto segreto. Allo scadere dell’orario comincia il gioco dei quattro cantoni: i sostenitori dell’uno o dell’altro si accomodano negli angoli della stanza e il «presidente del seggio» fa la conta. I repubblicani per la verità si sono modernizzati al punto da distribuire foglietti su cui scrivere il nome. I democratici, più tradizionalisti, si affidano solo alle comunicazioni orali. Di stanze aperte a questo scopo ce ne sono 1.791, raccolgono cioè in media 85 persone, una quindicina per ogni angolo, senza calcolare quelle località che nelle «sezioni» più rurali se la vedono in quattro anziani confortati da caffè e torta.
In un paesino di nome Pella, ad esempio, ci sono otto democratici in tutto. I giovani disertano. Magari vanno in giro con il nome del candidato sul paraurti ma alla cerimonia non partecipano. È una tradizione nata evidentemente in climi o stagioni più benevole, quando di domenica pomeriggio gli uomini maturi si riunivano nel portico di casa a fare quattro chiacchiere, inclusa la politica. Erano i tempi in cui il Partito democratico in Iowa era poco più di una setta di eccentrici, in mezzo a una popolazione compattamente bianca, conservatrice, repubblicana e nord europea.
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