Nella malga un museo all’aperto

Là dove sorgeva l'ultimo dei tre alpeggi della Foresta regionale dei Corni di Canzo, quello di Second'Alpe è diventato un vero e proprio museo a cielo aperto. Un parco d'arte destinato alla fruizione ricreativa e culturale più innovativa, con spazi espositivi per mostre di land art e concerti di suoni naturali. L'antico complesso rurale, distribuito su una superficie di milletrecento metri quadri e demolito negli anni Sessanta, dopo uno straordinario recupero edilizio e paesaggistico, esercita infatti un forte richiamo evocativo e vi si possono intuire le mille attività di un'antica civiltà agricolo-pastorale di montagna. Luogo di raccolta ed elaborazione di materiale naturale e umano, Second'Alpe grazie al meticoloso lavoro di recupero guidato dall'architetto Grazia Garrone, Francesca Soro, Paolo Vasino e Luigi Bertazzoni (le opere d'arte sono invece di Anna Ranasco) è diventato così spazio didattico per i giovani della zona ma anche polo d'attrazione per artisti e ricercatori di tutto il mondo. «Questo progetto vuole essere un'occasione di rinnovamento per il messaggio artistico - ha commentato l'architetto Garrone - e di rinascita per uno spazio ricco di storia naturale ed umana, inserito in un ambiente di straordinario interesse quale i boschi dei Corni di Canzo». L'antico borgo di Second'Alpe era una volta abitato tutto l'anno; secondo la tradizione, qui nacque all'inizio del '300 san Miro Paredi, venerato dai canzesi. Popoloso alpeggio di mezza costa ricco di attività agricole e di allevamento, produceva burro, uova e formaggio per i Canzesi fino al 1930. Second'Alpe sopravvisse fino agli anni '50, quando gli ultimi abitanti scesero in paese. Successivamente all'acquisizione da parte dell'Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, la struttura fu vittima di crolli, mentre pascoli e orti vennero fittamente rimboschiti a conifere dando luogo ad un denso bosco che mutò profondamente il paesaggio. Il progetto di restauro ha visto il recupero dell'immagine originaria del borgo e del suo territorio circostante, con la pulitura e messa in luce dei resti dell'edificato e con l'abbattimento delle piante per tutto il grande terrazzamento prospicente l'alpeggio. I sassi recuperati dai resti, ricomposti in gabbioni di ferro, hanno dato vita a uno spazio didattico-espositivo. La memoria del bosco abbattuto è celebrata in due installazioni lignee. L'operazione ha riportato alla luce la casa natale di san Miro.

Da segnalare che l'operazione di restauro è stata resa possibile dall'avvicendarsi da quattro anni di volontari inseriti in campi di lavoro internazionali promossi da Circolo Ilaria Alpi di Merone e Legambiente in collaborazione con Ersaf.

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