«No a governi anguria» La Lega tenta il dialogo con i transfughi finiani

RomaDoppio binario, come nella più classica diplomazia padana. I muscoli da una parte, le trame più sottili della politica dall’altra, mescolati in un abile gioco. L’ambasciatore mandato in avanscoperta da Bossi nei casi più difficili si chiama Roberto Calderoli. Il ministro focoso, raccontano i suoi fedelissimi, al di là dell’apparenza di intransigente pasdaran cela un’indole da navigato mediatore.
Il «nemico» con cui trovare una ricucitura, in questo momento si chiama Gianfranco Fini («Io al suo posto farei un passo indietro» dice il Senatùr perché «è chiaro che nel braccio di ferro tra i due vince chi ha i voti, cioè Berlusconi»). La Lega non vuol sentire neppure nominare la strada di un «governo tecnico», un’eresia, una bestemmia politica secondo i vertici leghisti, preoccupati però dalle ultime dichiarazioni di Napolitano in proposito (consapevoli che c’è in atto una frizione col Colle, come chiarisce il commento di Calderoli sul caso Bianconi: «Napolitano parla a nuora per far sapere a suocera...). Un governo tecnico «farebbe una nuova finanziaria, farebbe saltare in aria tutti i conti dello Stato, farebbe una nuova legge sull’immigrazione e ci riempirebbero di nuovo di immigrati» dice Bossi a Ponte di Legno, e probabilmente - pensa il leader - cambierebbe pure la legge elettorale, che invece «è perfetta». Anche perché governo tecnico è un artificio linguistico, in realtà dietro si nasconde un governo politico, un «governo anguria», spiega coloritamente Bossi, che «fuori è verde ma dentro è rosso». E come l’anguria, prosegue botanicamente Calderoli, ha sempre «quei semi del cavolo che devi sempre sputare, e noi continueremo sempre a sputarli fuori perché non li vogliamo!» (applauso fragoroso della folla leghista).
Contro questo tentativo c’è il voto, unica strada rispettosa della volontà del popolo, secondo la Lega. Ma c’è ancora, per quanto stretta, la via di un ritorno di Fini «nei ranghi». È per questo che l’ambasciatore Calderoli ha preso ago e filo per provare a tessere una tela che ricomprenda i finiani nella maggioranza uscita dalle urne nel 2008. Il ministro ha chiamato a Fini, come ha spiegato all’Eco di Bergamo, «una telefonata cordiale, io con Fini non litigo. Bisogna fare politica, cercare di parlare, dialogare, condividere certe posizioni. Poi, se non è possibile, ciascuno fa per sé». «Però io non rinuncio al confronto fino all’ultimo» ha aggiunto, anzi, «per la libertà della Padania se serve fare il patto con il demonio io trombo anche con il demonio...». Insomma se c’è una possibilità di non far collassare la legislatura, la Lega è pronta a fare da ponte tra Pdl e finiani. Però è la stessa Lega che, secondo la tattica del doppio binario, attacca gli strappi di Fini che hanno messo in discussione la prosecuzione della legislatura. È lo stesso Calderoli che assicura un sommovimento autonomo del Nord se si facesse qualche scherzetto di Palazzo, e che assicura: «Ogni volta che parla Fini noi guadagniamo voti, quando parla Bocchino li raddoppiamo e quando si parla di Montecarlo li quadruplichiamo».
È probabile che il tentativo di Calderoli non abbia molte chance di successo, perché ormai la frattura nella maggioranza ha scavato un fosso troppo profondo per essere colmato di nuovo. Il voto è una prospettiva che non inquieta affatto la Lega, forte di sondaggi molto positivi, e che anzi infervora il suo elettorato molto orientato ai risultati e poco alle discussioni politichesi. Se si aprisse questo scenario, si potrebbe comunque andare avanti coi decreti attuativi del federalismo, e «grazie a Prodi», ha spiegato scherzando Calderoli. Una norma approvata nel 2008 permette infatti di approvare i decreti legislativi legati alla legge delega, così come succede con i decreti urgenti, anche se c’è «un governo dimissionario, o sfiduciato». Pertanto le urne rimangono la via maestra per uscire da quel che Bossi ha definito un «pantano».
E Fini? Potrà lavorare più serenamente al suo partito, la cui base è sempre più identificata, secondo la Lega, nel Sud assistenzialista. «Tremonti ha come nemico Fini perché lui vorrebbe i soldi da sprecare al Sud» ha tuonato Bossi a Ponte di Legno. Ecco perché si cerca una spallata al governo taglia-spese. Ma, se scattasse, la scintilla si propagherebbe dal Veneto alla Lombardia, dal Piemonte all’Emilia ed «esploderebbe il fenomeno generale del Nord, di una grossa aerea europea economica che chiede l’autonomia, che se la prende da sola», perché a quel punto «non puoi dire “no, non gliela do”, perché non hai più i mezzi per stare in piedi». La stessa evocazione fatta poche ore prima da Calderoli, che aveva parlato di un «Nord che se ne va» se lo si imbroglia con una maggioranza solo parlamentare. La secessione? Per ora, solo un gesto retorico per tenere alta l’elettricità del popolo padano. Ma la piazza sarebbe una reazione sicura della Lega, in quel caso. Certo, «è solo il presidente della Repubblica a decidere» sulla data di un ipotetico voto, dice Bossi, ma col Colle il rapporto è buono, «non è uno che dice no, è uno che accetta il cambiamento.

Poi certo ha dei limiti, ma mi fermo qui...». E sulle ultime polemiche con il centrodestra e l’ipotesi di impeachment sottolinea: «Tutti hanno una virgola di ragione ma è meglio non esacerbare la situazione. Noi dobbiamo mantenere l’equilibrio».

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