No di Wiesel alla presidenza di Israele

Attesa in Palestina per la decisione di Abu Mazen sul siluramento del governo Hamas

Gian Micalessin

Elie Wiesel ha detto no. Lo scrittore americano e premio Nobel per la pace ha reso noto di aver declinato la proposta di diventare presidente d'Israele. Parlando all'università parigina della Sorbona, Wiesel ha così risposto a un giornalista che gli aveva chiesto se rispondesse al vero la voce che gli era stato offerto di succedere a Moshe Katzav, alle prese con uno scandalo sessuale. «Sì, me l'hanno proposto. Io ho detto di no, semplicemente perché non sono fatto per certe cose. Sono rimasto molto lusingato, ma io sono uno scrittore». Quando gli è stato chiesto se una sua nomina a presidente di Israele potesse a suo avviso contribuire a far progredire la pace in Medio Oriente, Wiesel ha replicato: «Il presidente in Israele è un'autorità di ordine morale. È il governo che prende le decisioni».
Katzav è accusato di stupro da una ex segretaria e in attesa di sapere se nelle prossime settimane sarà incriminato. Per recuperare il prestigio offuscato della carica del capo dello Stato, il premier Ehud Olmert è discretamente in cerca di un candidato di fama indiscussa. Mercoledì un quotidiano israeliano ha riferito che l'entourage di Olmert vedrebbe di buon occhio proprio Wiesel.
In Palestina, intanto, tutti aspettano la fine del Ramadan. Dopo Eid al-Fitr, la festa che mette fine al mese del digiuno, Abu Mazen dovrà dare qualcosa in pasto all’opinione pubblica. Dovrà dire se è pronto all’atto coraggioso tante volte promesso o se ha invece optato per l’ennesimo compromesso della carriera. Nel coraggio di Mazen confidano in pochi. Pochi gli attribuiscono la determinazione e la tempra necessarie per cacciare i ministri di Hamas e sostituirli con un governo tecnico o indire nuove elezioni. Che la strada più probabile sia l’ennesimo compromesso bizantino lo si capisce da molti segnali. Prima di tutto dalle voci, in arrivo dall’ufficio del primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh, che danno per chiuso l’accordo sullo scambio di prigionieri con Israele. In secondo luogo dalle manifestazioni delle ultime ore intorno alla residenza dello stesso presidente palestinese a Gaza. Le dozzine di esponenti dei servizi di sicurezza riunitisi sotto la casa del presidente per protestare contro il pagamento dei salari sembrano il primo avvertimento. Il primo segnale dell’ala più intransigente di Fatah contraria a qualsiasi accordo con Hamas. Fino a oggi le proteste più fragorose per il pagamento di quei salari riguardavano quasi esclusivamente il governo di Haniyeh ritenuto responsabile del blocco degli aiuti occidentali. Il presidente dell’Anp era considerato il possibile risolutore del problema. Quegli pneumatici in fiamme e quelle raffiche di kalashnikov sparate al cielo sotto l’abitazione del presidente sembrano un chiaro segnale dei duri e puri di Fatah. Un invito ad agire o a scomparire.

Abu Mazen è nella classica posizione di chi deve scegliere tra la padella e la brace. Sciogliere il governo può dare il via alla reazione armata di Hamas. L’ennesimo compromesso rischia di spingere i duri di Fatah a chiedere la cacciata del presidente.

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