«Non cavalco la tigre delle intercettazioni»

Gli italiani sono sottoposti a controlli telefonici senza pari in alcuna democrazia

«Non cavalco la tigre delle intercettazioni»

da Roma

Lo aveva confidato a notte fonda, rientrando a Palazzo Grazioli dopo la cena coi deputati forzisti, e aveva già mandato avanti Fabrizio Cicchitto per annunciare, con un articolo uscito ieri mattina sul Riformista, che Forza Italia non era intenzionata a «cavalcare questa tigre». Poi, in occasione del pranzo coi suoi eurodeputati che concludeva il giro conviviale dei saluti prima delle ferie, Silvio Berlusconi ha rotto gli indugi, dicendo un no chiaro e forte alle autorizzazioni richieste dal giudice Clementina Forleo. Non importa che la vicenda tocchi Massimo D’Alema e Piero Fassino, «diremmo no per tutelare qualunque altro parlamentare». Poi giù contro il sistema «inaccettabile» delle intercettazioni, le «invasioni nella vita privata» perpetrate a briglie sciolte, lo strapotere di una certa magistratura, lo «stato di polizia» che si va delineando. Dunque Forza Italia voterà, tanto alla Camera quanto al Senato, contro l’utilizzo delle intercettazioni che riguardano tre senatori e tre deputati. Con una proposta concreta, un argine che il leader della Cdl vuole innalzare contro la marea montante delle intercettazioni giudiziarie: devono essere «consentite soltanto per reati la cui pena prevista supera i dieci anni».
Ha così spiazzato il centrosinistra, che va diviso all’appuntamento nelle Giunte, e si è sottratto all’abbraccio giustizialista propugnato da An. Senza se e senza ma, in coerenza con le sue posizioni storiche sulla Giustizia e la tutela delle prerogative parlamentari, Berlusconi ha fatto una scelta, immediatamente condivisa da tutti i suoi. Sull’ingresso dell’Hotel Splendid dove lo attendevano i giornalisti, ha diffuso personalmente il suo messaggio: «Noi diremo no in aula all’autorizzazione per le intercettazioni, e lo faremmo con chiunque fosse il parlamentare interessato. Lo facciamo anche questa volta, quando i parlamentari interessati sono deputati di spicco della sinistra, perché riteniamo che non si debba procedere a questi interventi di uno Stato invasivo nella vita privata. Voglio ricordare che gli italiani, nel nostro paese, sono sottoposti a un sistema di controllo dei telefoni che non ha pari in nessuna democrazia del mondo. I controlli che vengono fatti in Italia sono numericamente dieci volte in più rispetto a quelli degli Stati Uniti, nonostante la popolazione americana sia molto superiore rispetto alla nostra».
È categorico, il Cavaliere: «Non si può andare avanti con questo Stato di polizia fiscale e burocratica. Basta con questo Stato che interviene troppo là dove dovrebbe essere estraneo, e invece fa troppo poco laddove dovrebbe essere presente per difendere, per esempio, i cittadini dagli attacchi della malavita, della microcriminalità o della criminalità organizzata. Questo sistema è inaccettabile». Insiste, e denuncia il clima di sospetto che sta avvelenando non solo il mondo della politica: «Qui nessuno è più libero di parlare, anche telefonate che non hanno nulla a che fare con la politica vengono controllate. Questi sono principi fondamentali per uno Stato liberale, noi restiamo su questi principi anche se oggi riguardano dei competitor - appunto D’Alema e Fassino - per noi non cambia nulla».
Gli hanno domandato se questa non sia una mano tesa a D’Alema, e lui tranquillo: «Io rispondo ai nostri principi, e i nostri principi ci dicono che questo sistema di intercettazione non può essere accettato. Voteremo no all’uso delle intercettazioni telefoniche, perché è la nostra posizione, nota da sempre. Riteniamo che deve essere fortemente tutelata la libertà dei singoli cittadini e la loro sfera privata: non ha nessuna importanza che in questo momento ci siano D’Alema e Fassino che possono essere favoriti.

Noi pensiamo che la magistratura deve poter intervenire con i suoi mezzi, anche con le intercettazioni, ma vorremmo che fossero consentite soltanto quando i magistrati indagano su reati per cui sia prevista una pena minima edittale di 10 o 15 anni. Altrimenti si arriva davvero a uno Stato di polizia dove nessuno è più libero di parlare con nessun altro, comprese le telefonate personali».

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