Nelle sue memorie Luca Palamara, il capo del sistema politico-giudiziario che ha condizionato e pilotato le inchieste nell’Italia berlusconiana e non solo, riassume così il motore di quel sistema che direttamente o indirettamente ha fatto cadere più di un governo: servono una procura orientata, un paio di giornalisti complici e un gruppo politico che faccia da sponda.
Secondo Palamara un trio siffatto «è più potente di qualsiasi governo, più di qualsiasi Parlamento», in altre parole è in grado di deviare il corso della democrazia «all’ombra della legge e con i colori della giustizia», come intuì il filosofo Montesquieu già trecento anni fa. Palamara cade in disgrazia nel 2019, un terremoto che però non intacca il metodo da lui inventato che - dimostrano le cronache - prosegue la sua opera sia pure con qualche cambio di formazione. È il sistema che ha provato ad accerchiare da subito Giorgia Meloni appena fu chiaro che dalle urne sarebbe uscita stravincitrice. Niente da fare, buco nell’acqua. La signora non ha scheletri negli armadi, non è ricattabile, i giornalisti sguinzagliati alle sue calcagna hanno setacciato pure il suo passato remoto ma sono tornati in redazione a mani vuote, i pm che hanno provato ad assecondare roboanti annunci televisivi su presunte opacità di Fratelli d’Italia - una per tutte la serie messa in onda dal duo FanPage-Formigli - si sono dovuti arrendere all’evidenza e archiviare.
Ma nell’aria afosa di questa apparentemente calma estate italiana c’è qualcosa di nuovo, indizi e segnali che gli occhi esperti leggono come una calma foriera di tempesta, tempesta ovviamente giudiziaria. E qui si ritorna al «metodo Palamara» e al tridente di cui sopra giornalista-partito politico-procura. Non importa in che sequenza si muovano: a volte parte prima la magistratura supportata poi dalla stampa e dalla politica compiacente (per intenderci, il caso Toti), altre volte è l’inverso: parte la campagna stampa, segue il partito e la giustizia di sicuro arriverà a ruota. Bene, non c’è giorno che su un gruppo di giornali noti non solo per il loro orientamento politico ostile al governo ma pure per una eccessiva e sospetta contiguità con le procure non si parli della Meloni, ma attenzione qui sta la novità - non di Meloni Giorgia, sarebbe normale, bensì di Meloni Arianna, di lei sorella, oltre che da sempre di lei compagna nella lunga e fortunata avventura politica.
È un continuo, un’attenzione oggettivamente sproporzionata - detto con rispetto per il suo ruolo di responsabile della segreteria politica di Fratelli d’Italia sia dal punto di vista giornalistico sia politico, quasi a voler creare a tavolino un caso da offrire cotto e mangiato a chissà chi. È un lavoro di cesello, ogni giorno un tassello - confezionato a volte come «retroscena», altre come «indiscrezione», altre ancora come «fonti che chiedono l’anonimato» - viene offerto all’opinione pubblica per raccontare una Arianna Meloni indaffarata a fare e disfare le più delicate nomine di Stato, a piazzare amici e amiche a destra e a manca.
Quando venne nominata Giuseppina Di Foggia a capo di Terna, prima donna a guidare una partecipata statale, alcuni scrissero che era stata scelta in quanto amica di Arianna Meloni e ancora oggi lo si sostiene, nonostante la sorella della premier abbia dichiarato senza possibilità di essere smentita di non averla mai conosciuta e probabilmente mai vista. Niente, la macchina procede come se nulla fosse, mancato il primo colpo si riprova sulla stessa strada. Qualche giorno fa è comparso un articolo nel quale si diceva che Giorgia Meloni avrebbe delegato alla sorella le trattative sulle nomine Rai. Nuova smentita tombale, nessuna replica ma rilancio con un articolo nel quale si sostiene, senza alcuna prova, che Fratelli d’Italia starebbe per proporre un cambio ai vertici di Ferrovie dello Stato, fuori l’attuale Ad, dentro un’amica di Arianna Meloni, Sabrina De Filippis.
Prova che riprova, ecco che da copione entra puntuale in gioco anche il secondo attore del «metodo Palamara»: la politica. La senatrice di Italia Viva Raffaella Paita dichiara alle agenzie: «Arianna Meloni ieri era sul giornale per l’influenza sulle nomine Rai, oggi per le Ferrovie dello Stato. A questo punto mi chiedo: non potrebbero farla direttamente ministra dell'attuazione del Programma? Parentocrazia». Bè, in effetti la Paita di «parentocrazia» se ne intende, essendo moglie di un signore che era presidente del Porto di Genova (incarico di nomina politica) anche negli anni in cui Renzi – capo del partito del quale la Paita è coordinatrice nazionale – era presidente del Consiglio. Ma non è questo il punto, anche se l’attivismo di Italia Viva sulla pratica (oltre alla Paita le false notizie su Arianna sono riprese e amplificate sia da Maria Elena Boschi sia da Matteo Renzi) lascia intendere che ci sia appunto in corso una manovra occulta, campo in cui Renzi da sempre eccelle; che non si tratti semplicemente di ricostruzioni infondate, buttate lì a casaccio per riempire le pagine dei quotidiani agostani a corto di argomenti né di politici che ci si gettano a pesce nella speranza di ottenere qualcosa nella partita delle nomine. No, c’è qualche cosa di più torbido, che cioè si scriva con morbosa insistenza non per raccontare dei fatti, ma per provare a determinarne uno. In altre parole, e fuori da giri di parole, preparare il terreno per portare la magistratura a indagare Arianna Meloni.
Già, ma per che cosa? Un indizio è proprio nella dichiarazione di Raffaella Paita, quando ipotizza una sua «influenza sulle nomine». Eccola l’ipotesi di reato di cui, non è mistero, si sussurra in speranzosa attesa in questi giorni nelle stanze giornalistiche e giudiziarie dell’ex Sistema Palamara: traffico di influenza, un reato che ben si presta ad accuse in mancanza di meglio o di prove, stante la sua aleatorietà.
«Di consistenza inafferrabile», hanno addirittura scritto alcuni giuristi scettici sulla sua fondatezza.
In questa brutta storia due cose sono certe. La prima è che Arianna Meloni non ha alcun potere decisionale su nessuna nomina; la seconda è che Giorgia Meloni non è tipo da farsi intimidire dalle minacce, neppure se coinvolgono una delle persone a lei piu care al mondo.
Il tentativo di cucire addosso ad Arianna Meloni un ruolo che non ha per mettere in difficoltà la sorella e l’intero governo è ormai palese, mandanti ed esecutori cominciano ad avere nomi e volti. Non conterà per ripristinare la verità, ma almeno ora si deve giocare a carte scoperte, terreno sul quale i bari perdono gran parte della loro arroganza e della loro furbizia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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