«Non era la marcia su Roma Una manifestazione non cambia la vita politica»

RomaProfessor Massimo Cacciari, ha visto demagoghi in piazza?
«No, ma per favore basta con questa storia dei demagoghi. Polemica priva di senso, tutto sto’ casino per una battuta di spirito! Questa classe politica non ha la virtù dell’ironia».
Walter c’è rimasto male. Erano in tanti al Circo Massimo, mancava solo lei.
«Le manifestazioni le fanno tutti, le fa Veltroni, le fa Berlusconi... Se c’è tanta gente, bene. Se ce ne va poca, male. Logica alla Catalano, non ho alcun interesse a parlarne. Sono momenti nei quali una forza politica si presenta, consolida la propria leadership...».
Ecco appunto. Veltroni ora è più forte.
«Guardi, non credo che una manifestazione possa incidere sul corso della vita politica. A meno che non si tratti della marcia su Roma».
Già. Ma qualche effetto dovrà pur sortire... Quella della Cgil funzionò.
«Sì, ma aveva un obbiettivo preciso e chiarissimo. E se è per questo anche quella di Berlusconi funzionò, esasperando le difficoltà di Prodi nel gestire le divisioni del suo governo».
E gli effetti di quella di ieri?
«Mah, chissà. Bisognerà vedere se avrà modificato qualche equilibrio nella leadership... Ma a me interessa come intende organizzarsi il Pd, non le manifestazioni. Non vedo congressi, non un’analisi. D’altronde è naturale che la luna di miele tra il governo e la maggioranza degli italiani scemerà, come dimostrano i sondaggi. Anche se io credo ai sondaggi ancor meno che alle manifestazioni».
Per questo non ci va. Qualcuno l’ha chiamata per lamentarsi?
«È da un po’ di tempo che non mi chiamano, diciamo. Ma io sono una persona seria, penso ai problemi reali... La verità è che non ci sono andato perché avevo da fare: ho incontrato gli artigiani del Veneto. E sono venute fuori cose interessanti e drammatiche: con la crisi dei mercati, le banche hanno chiuso il rubinetto del credito, e questi stanno affogando. Allora, dico io: si possono salvare le banche dai fallimenti e non controllare che poi facciano crepare gli artigiani?».
Problemi gravi, altro che manifestazioni.
«I calcolini e la demagogia per rubare un voto li lascio a Di Pietro... Non mi faccio certo mangiare il cervello dentro il Pd, come non me lo lasciavo mangiare nel Pci».
Pensare più in grande, dice lei.
«A me angustia che il Pd, una scommessa politica vera, e ambiziosa, non abbia ancora una fisionomia organizzativa precisa, che al suo interno non si delinei una strategia, un progetto politico da seguire...».
Capisco il disappunto per il Pd, ma incombono problemi più rilevanti.
«Vero. Il ceto politico di questo Paese non vede che siamo in un passaggio cruciale, che porterà a modifiche anche antropologiche delle nostre società. Siamo davanti a una crisi di struttura, non soltanto economica e finanziaria. Ci rendiamo conto che nelle scuole vicentine e trevigiane, per fare un esempio, i bambini extracomunitari sono in maggioranza? Che fare? Affrontarla in termini buonistici fa il paio con gli atteggiamenti razzisti e repressivi. L’immigrazione è necessaria alla nostra economia, e la demografia, scienza seria, ci dice che senza di loro nel 2025 gli italiani possono dire addio alle pensioni. Difficile ottenere che lavorino di giorno, e spariscano la notte. Allora? Hanno bisogno di case, ed è provato che il ricongiungimento familiare migliora anche la nostra sicurezza. Ma come faccio ad assegnare loro degli alloggi, se prima non li dò anche agli indigeni? Quelli si incavolano, e d’altronde gli immigrati abitano qui, non vicino Montecitorio... Occorrerebbe un grande piano pubblico di edilizia residenziale».
Sulle proposte il Pd svapora.


«Invece ci sarebbe bisogno di un dibattito alto, di livello costituente: le nostre parti politiche dovrebbero sedersi attorno a un tavolo, e confrontarsi. Che facciamo? Che proponete? Non c’è un minuto da perdere, non si può più tirare a campare...».
Questi invece vanno al Circo Massimo.
«Questa l’ha detta lei».

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