Non si vive solo di diritti tv Le altre leghe l’hanno capito

L’analisi della Deloitte sui bilanci dei club europei mette all’angolo le grandi del calcio italiano che basano il loro fatturato sui diritti tv (all’incirca il 60% del budget complessivo) a differenza di quanto si verifica nella Premiership inglese, nella Liga spagnola o nella Bundesliga tedesca. Da quelle parti i ricavi da stadio e l’attività commerciale sono sensibilmente più elevati e permettono alle società di equilibrate le entrate evitando di dipendere da una sola voce. È questo anche il parere di Dario Righetti, partner Deloitte e responsabile per il Consumer Business: «Il punto debole delle italiane continua ad essere la forte concentrazione dei ricavi derivanti dai diritti con i media rispetto a quelli derivanti dalla vendita di biglietti e da altre attività commerciali. Se le squadre italiane vogliono migliorare la loro posizione devono investire maggiormente in strategie idonee ad incrementare entrate diverse dai diritti televisivi. Il peso medio dei ricavi da stadio delle italiane, collegata quasi esclusivamente alla vendita dei biglietti, è inferiore al 20% del fatturato totale. In altri campionati non è così».
La forbice aumenta di anno in anno riducendo la competitività dei nostri club. Nella stagione 2009-’10 l’Inter è arrivata a 38,6 milioni di ricavi da stadio grazie al vittorioso percorso in Serie A e in Champions League. Un’accoppiata tanto fenomenale quanto occasionale. A ruota seguono Milan (31,3, in flessione rispetto all’annata precedente), Roma (19) e Juventus (16.9). In tempi brevi solo la società bianconera riuscirà a invertire la rotta grazie all’inaugurazione del nuovo impianto che dovrebbe procurare 35 milioni d’incassi nelle prime due stagioni e toccare quota 45 a pieno regime. Di altro spessore i ricavi da stadio dei competitor. Oltre i 100 milioni troviamo Real Madrid (129,1), Manchester United (122,4) e Arsenal (114,7). A ruota seguono Barcellona (97,8), Chelsea (82,1) e Bayern (66,7).
In soldoni i grandi club italiani scontano un handicap valutabile fra i 40 e i 100 milioni a stagione per questo motivo. Ma non è il solo ad affossare il nostro calcio di vertice. Basta dare un’occhiata ai fatturati dell’area commerciale che vede in cima alla classifica il club bavarese con 172,9 milioni di ricavi contro i 63,4 della società italiana più attrezzata in questo campo, vale a dire il Milan. E qui il problema si amplia con la difficile difesa dei marchi originali per la presenza attorno agli stadi di bancarelle che vendono materiale taroccato a prezzi irrisori con la complicità di chi dovrebbe intervenire e non lo fa. A cominciare dai club medesimi.
La morale è una sola. La sfida si fa impari senza impianti di proprietà, nuovi, confortevoli, ricchi di servizi e di offerte, dallo shopping alla ristorazione passando per i parcheggi. In Premiership gli stadi sono quasi sempre al limite della capienza al punto che ben 14 club su 22 vantano percentuali uguali o superiori al 90%. E altri 4 viaggiano fra l’80 e l’89%. In Italia siamo tremendamente indietro non solo rispetto a Spagna, Inghilterra, Germania e Francia, ma anche nei confronti di Belgio, Olanda e Portogallo. I presidenti danno la colpa a una legge che vegeta da 3 anni e mezzo nei cassetti di Camera e Senato.

Ma la Juventus ha dimostrato che si può fare strada anche senza. Basta decidersi a investire su questo campo che fidelizza il rapporto con i tifosi e irrobustisce i bilanci sul piano patrimoniale. Non solo giocatori, a dirla tutta.

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